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Le prove dell’addebito nella separazione: violazione e deroga alla privacy

La separazione con addebito interviene quando uno dei due coniugi si è reso direttamente responsabile della separazione, ad esempio nel caso di un tradimento. L’infedeltà però deve essere la causa diretta della fine del matrimonio e non una conseguenza della crisi coniugale.

In linea teorica il coniuge tradito, in sede di separazione, può chiedere l’addebito della separazione a chi ha violato l’obbligo di fedeltà. Ma la possibilità di ottenere una pronuncia di addebito è tutt’altro che scontata.

Perché il giudice possa addebitare la separazione a carico del coniuge infedele è necessario dimostrare che il tradimento è stato la causa della crisi matrimoniale e non il suo effetto.

Se, pertanto, il tradimento interviene in un momento in cui il matrimonio è già in crisi non c’è motivo per addebitare la separazione al coniuge fedifrago.

La Corte di Cassazione più volte si è occupata del tradimento ed ha sempre ricordato che l’infedeltà coniugale può comportare l’addebito della separazione solo se si dimostra che la relazione extraconiugale è stata la causa della crisi della coppia e non la sua conseguenza.

Nel corso degli anni, la giurisprudenza si è anche uniformata in relazione ai nuovi mezzi di comunicazione sociale: in particolare, internet e social network.

Invero, l’avvento dei social, se da un lato ha facilitato la possibilità di intrattenere relazioni affettive e sentimentali, dall’altro ne ha reso più semplice la scoperta da parte del partner tradito, rappresentando una vera e propria fonte di prove e tracce digitali.

Spesso accade, infatti, che il coniuge si impegna a raccogliere quante più prove a carico del consorte da utilizzare nei giudizi di separazione e divorzio, al fine di dimostrare l’infedeltà dell'altro. In questi casi, si pone il problema di verificare se e quando tali ingerenze nella privacy altrui possano essere legittimate, senza sfociare in condotte vietate dalla legge.

A tal proposito, la giurisprudenza penale si è espressa più volte sull'argomento, in particolare nell'ipotesi di intercettazioni telefoniche effettuate in casa da un coniuge all'insaputa dell’altro, ritenendo sussistente il reato di “interferenze illecite nella vita privata” (art. 615-bis c.p.), a prescindere dal rapporto di convivenza coniugale (Cass. Pen. Sez. V, 02.12.2003, sent. n. 46202). Ed ancora, stabilendo che è proibito al coniuge, in virtù dell’art. 616, c. 1, c.p., di prendere visione della corrispondenza diretta all'altro, senza il suo consenso espresso o tacito (Cass. Pen. Sez. V, 10.07.1997 sent. n. 8838).

Per quanto riguarda i messaggi di posta elettronica (email, skype etc.) e gli sms, per legge, sono veri e propri mezzi di corrispondenza e che, come tali, non possono essere violati in alcun modo al pari della posta ordinaria.

Del resto, però, il Testo Unico sulla Privacy (D.l. 196/2003), pur prevedendo l’obbligo del preventivo consenso dell’interessato per la trattazione dei suoi dati personali, consente una deroga proprio quando questi ultimi debbano essere impiegati per far valere un diritto avanti all’autorità giudiziaria. A tal proposito, la Suprema Corte (Cass. civ. sez. III, 11 febbraio 2009, n. 3358) ha affermato che la produzione in giudizio di documenti contenenti dati personali è sempre consentita se necessaria per esercitare il proprio diritto di difesa quali che siano le modalità con cui è stata acquisita la loro conoscenza, anche se la facoltà di difendersi in giudizio utilizzando gli altrui dati personali va esercitata nel rispetto dei doveri di correttezza, pertinenza e non eccedenza, sicché la legittimità della produzione va valutata in base al bilanciamento tra il contenuto del dato utilizzato, cui va correlato il grado di riservatezza, e le esigenze di difesa.

Posto ciò, in linea di massima, si consentirebbe al coniuge tradito di giustificare la propria condotta intrusiva motivandola con la necessità di dimostrare, in sede giudiziale, l’infedeltà del consorte ai fini della domanda di addebito.

Orbene, alla luce delle considerazioni innanzi esposte, merita di essere meglio approfondito l’argomento dal punto di vista meramente processuale; ergo, ai fini dell’addebito della separazione.

Sul punto, il Tribunale di Caltanissetta, con la sentenza n. 1018/2012, ha meglio precisato che “lo scambio di sms di tenore "amoroso" fa scattare l'addebito della separazione per infedeltà, se rivela l'esistenza di un rapporto affettuoso incompatibile con il dovere di lealtà coniugale”.

Sul punto, i giudici richiamano una pronuncia di Cassazione (la n. 19606/2011) che ha rilevato come, alla luce di solidi principi probatori, sarebbe comunque inaccettabile pretendere alla parte che richieda l'addebito, anche “la prova che la crisi coniugale sia stata provocata in via diretta ed esclusiva dalla dichiarata relazione extra-coniugale intrattenuta dall'altro”. Nel caso esaminato, quanto alle presunte responsabilità del coniuge, non emerge un nesso tra la fine del matrimonio e il suo carattere litigioso, né il marito è riuscito a dimostrare che la relazione adulterina si è inserita in un contesto matrimoniale già sofferente; quindi, non incombendo su chi ha domandato l'addebito la prova che la prosecuzione della convivenza è divenuta inconciliabile con il tradimento subito, la rottura del coniugio va ricondotta alla responsabilità del coniuge.

Ed ancora, sull’argomento in esame, recentemente si è espressa la Corte di Appello di Trento con la sentenza n. 245/2015. La pronuncia in esame addebita la separazione al marito in quanto ritenuto infedele sulla base della testimonianza resa in giudizio dalla figlia maggiorenne, che aveva assistito alla confessione del padre e aveva letto casualmente alcuni messaggi che l’amante del padre aveva scritto a quest’ultimo.

Tale deposizione per i giudici, ha sufficientemente provato che l’infedeltà non era la conseguenza di un rapporto già irrimediabilmente compromesso dalle crisi depressive della moglie.

Pertanto, ricorda la Corte d’ Appello di Trento, laddove “la ragione dell’addebito sia costituita dall'inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale, questo comportamento, se provato, fa presumere che abbia reso la convivenza intollerabile, sicché, da un lato, la parte che lo ha allegato ha interamente assolto l’onere della prova per la parte su di lei gravante, e dall’altro la sentenza che su tale premessa fonda la pronuncia di addebito è sufficientemente motivata in quanto non risulti provata la mancanza di un rapporto di causa ed effetto tra infedeltà e intollerabilità della convivenza”.

Alla luce di tutto quanto innanzi esposto, conformemente a quanto precisato dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, nonostante il divieto imposto dalla legge, la documentazione in esame, ai fini dell’addebito, potrà essere valutata discrezionalmente dal giudice; per meglio dire, la presentazione di copie di email, chat private, sms scambiati dal consorte con l’amante e contenenti la prova dell’infedeltà coniugale, potrà essere tollerata dal giudice civile nel corso del processo di separazione, mantenendo la possibilità per il coniuge che si reputi danneggiato nella propria riservatezza di sporgere denuncia – querela in sede penale.

A questo scopo, tuttavia, è necessario che la produzione del materiale raccolto in violazione della privacy rappresenti l’unica fonte di prova del presunto tradimento e che i dati personali del coniuge “fedifrago” siano trattati esclusivamente per tale finalità.

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