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Dati sulla salute: l'indebita diffusione è risarcibile solo in caso di grave danno (Cass. Civ. s

Se non viene dimostrata la gravità della lesione subìta, la richiesta di risarcimento del danno da indebita diffusione dei dati relativi alla salute, andrà rigettata.

Così si è pronunciata la Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, con l’ordinanza del 02/12/2015 – 11/01/2016, n. 222.

Con tale sentenza la Suprema Corte ha affrontato il caso di una richiesta di risarcimento danni a seguito della diffusione indebita di dati relativi alla salute.

In particolare, un dipendente del Ministero della Difesa, aveva presentato un’istanza per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di diverse patologie cliniche e per la concessione del beneficio dell’equo indennizzo, ma la documentazione sanitaria che lo riguardava era stata smarrita dalla CMO incaricata del suo caso. Pertanto, aveva proposto, dinanzi al Tribunale di Genova, domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali subìti per l’indebita diffusione dei dati relativi al proprio stato di salute. Il Tribunale adìto aveva rigettato la domanda in quanto non era stato dimostrato che i documenti sanitari perduti fossero quelli del ricorrente, né che lo smarrimento fosse dipeso, dopo la sua ricezione, proprio dalla CMO di La Spezia; inoltre non vi era prova che i documenti fossero pervenuti nella concreta disponibilità di terzi senza il consenso dell'interessato. Avverso tale sentenza, il ricorrente ha presentato ricorso in Cassazione per violazione o falsa applicazione di legge.

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile e manifestamente infondato, in quanto era stato sostanzialmente richiesto che venissero nuovamente e diversamente esaminati i dati probatori, già valutati dal giudice di merito, determinando così un’inammissibile ripetizione. In particolare, ha osservato che è denunciabile in cassazione solo l'anomalia della motivazione che diventa violazione di legge costituzionalmente rilevante, purché il vizio sia contenuto nel testo della sentenza impugnata, al di là del confronto con le risultanze processuali.

Inoltre, essendo stata lamentata l'esistenza di un danno, i giudici di Piazza Cavour hanno ribadito il principio già enunciato in materia di danno da trattamento dei dati personali, in base al quale anche il danno non patrimoniale risarcibile, ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. 30/06/2003, n. 196 (cosiddetto codice della privacy), anche se causato da una violazione del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali tutelato dagli artt. 2 e 21 Cost. e dall'art. 8 della CEDU, deve essere accertato in base alla gravità della lesione ed alla serietà del danno (quale perdita di natura personale effettivamente patita dall'interessato). In effetti, anche per tale diritto si dovrà operare il bilanciamento con il principio di solidarietà ex art. 2 Cost.. in cui rientra il principio di tolleranza della lesione minima, e dunque è causa di lesione ingiustificabile del diritto, non la mera violazione delle prescrizioni di cui all'art. 11 del codice della privacy ma solo quella che ne offenda in modo sensibile la sua portata effettiva. Le relative verifiche spettano al giudice di merito e devono essere espletate secondo gli elementi sostanziali e concreti della vicenda materiale portata alla cognizione giudiziale ed al suo essere maturata in un determinato contesto temporale e sociale. (Sez. 3, Sentenza n. 16133 del 15/07/2014).


Per tali motivi, apparendo il ricorso manifestamente infondato la Corte ha disposto il giudizio camerale, ai sensi degli artt. 380 bis e 375 n. 5 c.p.c.


Condividendo le suesposte argomentazioni, Collegio ha inoltre richiamato il principio di diritto (Cass. Sez. L, Sentenza n. 6850 del 1982), riformulato alla luce dell'art. 360 n. 5 c.p.c., alla luce del quale: “rientra nei compiti del giudice del merito il giudico circa l'opportunità di fondare la decisione sulla prova per presunzioni e circa l’idoneità degli stessi elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell'id quod plerumque acddit, essendo il relativo appressamento sottratto al controllo in sede di legittimità se sonetto da motivazione priva di anomalie tali da tramutarsi in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, ed in particolare, ispirato al principio secondo il quale i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricercati in relazione al complesso degli indizi, soggetti ad una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi, pur senza omettere un apprezzamento così frazionato alfine di vagliare preventivamente la rilevanza dei vari indizi e di individuare quelli ritenuti significativi e da ricomprendere nel suddetto contesto articolato e globale, con esclusione di qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione”.


Infine, pur considerando dimostrata la circostanza della responsabilità della struttura pubblica sanitaria per lo smarrimento della documentazione contenente i dati sulla salute del ricorrente, il Collegio ha ritenuto illegittimo collegare a tale fatto l'avvenuta conoscenza di tali dati da parte di persone estranee alla funzione amministrativa, deputata al loro esame. Pertanto, ha rigettato il ricorso dichiarandolo manifestamente infondato.

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