Delitto di lesioni: la Cassazione chiarisce il concetto di malattia (Cass. Pen. sez. IV sent. 02/02/
Ai fini del delitto di lesioni, lo stato di malattia consiste in una perturbazione funzionale di tipo dinamico, la quale conduca alla guarigione o alla stabilizzazione in una nuova situazione di benessere fisico degradato o alla morte, con la conseguenza che alterazioni anatomiche alle quali non si associ un’apprezzabile riduzione della funzionalità non possono considerarsi malattia. Ai fini dell’integrazione del requisito della malattia, previsto quale elemento del reato di lesioni personali, non è necessario che la sintomatologia riferita dalla vittima sia corredata da segni esteriori.
In sede di legittimità è possibile dedurre il cosiddetto travisamento della prova, quel vizio in forza del quale la Cassazione, lungi dal procedere a un'inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no "veicolato", senza travisamenti, all'interno della decisione.
L’aver irrorato il proprio frutteto con prodotti chimici è costato caro all'imputato, condannato per lesioni colpose, in quanto le vittime, lavoratori impegnati nel fondo contiguo, hanno patito congiuntivite bilaterale e dermatite da contatto, ritenute consequenziali all'irrorazione".
La Cassazione, in particolare, ha vagliato la censura appuntata sul concetto di malattia, che, secondo il ricorrente, non sarebbe ravvisabile nella situazione lamentata dai querelanti.
L’arresto della Suprema Corte chiarisce anzitutto che la malattia consiste nella “perturbazione funzionale di tipo dinamico che, quindi, dopo un certo tempo, conduca alla guarigione, alla stabilizzazione in una nuova situazione di benessere fisico degradato o alla morte, con la conseguenza che alterazioni anatomiche alle quali non si associ un'apprezzabile riduzione della funzionalità non possono considerarsi malattia”. Tutto sta – pare questo l’insegnamento – a verificare che l’impatto del fattore causale produttivo dello stato di malattia non sia del tutto irrilevante rispetto alle normali funzionalità dell’organo interessato; il che non esclude, ad avviso del Collegio, che le alterazioni possano impegnare anche marginalmente l’intero organismo.
Con l’occasione viene poi chiarito, sulla scorta di autorevoli precedenti, che «il concetto di "infermità" non è del tutto sovrapponibile a quello di "malattia", risultando, rispetto a questo, più ampio (...) avvertendosi anche che "dal concetto di malattia sono esclusi i cosiddetti stati patologici, ossia quelle stazionarie condizioni di anormalità morfologica, o funzionale, ereditaria, congenita o acquisita, in cui non vi sono tessuti od organi in condizione di sofferenza e che sono compatibili con uno stato generale di buona salute" (...)» ed invece, richiedendo «il concetto clinico di malattia (...) il concorso del requisito essenziale di una riduzione apprezzabile di funzionalità, a cui può anche non corrispondere una lesione anatomica, e di quello di un fatto morboso in evoluzione a breve o lunga scadenza, verso un esito che potrà essere la guarigione perfetta, l'adattamento a nuove condizioni di vita oppure la morte» (S.U., 25/1/2005, n. 9163, CED Cass Rv. 230317, la quale richiama, fra l'altro, Sez. V, n. 714/1999 e Sez. IV, n. 10643/1996).
Sul punto, del resto, basterebbe cogliere il dato sistematico – l’infermità ricorre in modo espresso nel campo dell’imputabilità – per avvertire l’esigenza di un’interpretazione differenziata dei due termini, o quanto meno per dare atto dell’imprescindibile attenzione ad una spiegazione degli stessi, da svolgersi comunque in termini di identità e/o non contraddizione. Il tema, tuttavia, travalica l’arresto in commento, per involgere questioni per così dire ultra moenia.
Il provvedimento all’indice, viceversa, si preoccupa di sondare da altra interessante prospettiva il risvolto applicativo del fatto di lesioni, indagando su quanto debba doversi accertare perché lo stato di malattia non sia rimesso a elementi probatori potenzialmente inconsistenti, quali possono essere le sintomatologie dolorose lamentate dalle “vittime” senza adeguato riscontro. L’univocità delle risultanze probatorie – il dato rischia di essere pleonastico, ma la materia lo rende provvisto di una propria rilevanza – può e deve ritenersi particolarmente importante, senza per questo doversi richiedere la probatio diabolica della falsificazione dei sintomi accusati dai portatori dello stato di malattia. Tutto questo, nel merito, involge profili di sicuro non sindacabili in Cassazione, alla quale incombe unicamente l’onere di chiarire che la sintomatologia riferita non abbisogna indefettibilmente di segni esteriori.
Dinnanzi alla Suprema Corte – si legge conclusivamente in questo arresto – si può dedurre unicamente il cosiddetto travisamento della prova, quel vizio in forza del quale la Cassazione, lungi dal procedere a un'inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no "veicolato", senza travisamenti, all'interno della decisione.