Alzare polvere nei lavori di ristrutturazione è reato (Cass. Pen. sez. III sent. n. 10005/2017)
Commette reato chi, in violazione delle norme stabilite dal d.lgs. 81/2008, nel corso dei lavori edili non impedisce un rilevante sollevamento di polveri, omettendo ogni cautela all'uopo necessaria. Tuttavia, il giudice di merito potrà valutare la non punibilità per particolare tenuità del fatto tenendo in considerazione l'effettiva entità del danno o del pericolo nonché la sussistenza o meno di un concreto rischio di mettere a repentaglio l'igiene e la sicurezza nei luoghi di lavoro.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione terza penale, nella sentenza n. 10005/2017. Il Tribunale aveva condannato l'amministratrice di una società di costruzioni per i reati cui agli artt. 153 cc. 5 e 159, c. 2 lett. c) d.lgs. 81/2008: questa, nel corso di lavori edili, aveva omesso di impedire il sollevamento della polvere proveniente dal materiale di risulta delle lavorazioni di demolizione dell'intonaco di un fabbricato, mediante irrorazione con acqua di tale materiale.
Con l'appello avanzato, poi convertito in ricorso per Cassazione, l'imputata lamenta l'inesatta interpretazione dell'art. 153 d.lgs. 81/2008, che prescrive di ridurre il sollevamento della polvere nel corso dei lavori di demolizione e non di eliminarlo del tutto, non essendo stata accertata l'entità del sollevamento delle polveri contestato, e non potendo le demolizioni in questione, limitate ai soli intonaci, essere ricondotte alla fattispecie incriminatrice ascrittale.
Il ricorso, precisa la Cassazione, è fondato solo in relazione alla richiesta di applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., poiché le altre doglianze relative alla insussistenza del fatto (per la modesta entità delle polveri sollevate nel corso dei lavori di demolizione eseguiti dall'impresa della ricorrente), alla eccessività della pena e alla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato penale, sono inammissibili.
Il Tribunale, infatti, sulla base del verbale ispettivo redatto dai funzionari della ASL di Frosinone, ha ritenuto integrata la violazione dell'art. 153 d.lgs. del menzionato decreto essendo emerso che, nel corso dei lavori di demolizione degli intonaci, non era stato impedito il sollevamento della polvere proveniente dal materiale di risulta di tale lavorazione, tanto che era stato prescritto ai dipendenti dell'impresa amministrata dalla ricorrente di irrorare con acqua detto materiale.
La responsabilità della ricorrente, dunque, risulta corretta poiché non occorre per la configurabilità della violazione un rilevante sollevamento di polveri, ma è sufficiente che lo stesso non sia stato impedito, omettendo l'adozione di qualsiasi cautela, come avvenuto nel caso di specie. La stessa norma infatti, non fa alcun riferimento all'entità del sollevamento della polvere proveniente dalle demolizioni.
I rilievi della ricorrente, in ordine alla modesta quantità di polveri sollevate e all'oggetto delle demolizioni, risultano, pertanto, privi di concludenza, a fronte dell'accertamento della omissione, non essendo necessario che le demolizioni riguardino opere murarie, in quanto la disposizione fa riferimento, genericamente, ai materiali di risulta.
Ciò nonostante, la sentenza impugnata va comunque annullata con rinvio affinché il giudice di merito possa accertare l'eventuale sussistenza delle condizioni per escludere la punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131-bis c.p., come sollecitato dal difensore ricorrente mediante la memoria che ha depositato.
Nella specie, evidenzia il Collegio, dalla sentenza impugnata non emergono elementi che consentano di escludere immediatamente l'esistenza delle condizioni per escludere la punibilità ex art. 131-bis c.p., avendo il Tribunale ritenuto non grave il fatto, come si rileva dalla applicazione della sola pena pecuniaria, tra l'altro in misura non distante dal minimo, e avendo formulato un giudizio prognostico positivo in ordine al futuro comportamento della imputata, con la conseguenza che occorre compiere ulteriori accertamenti in fatto (circa l'entità del danno o del pericolo conseguente al reato, tenendo anche conto della ratio della norma incriminatrice, diretta a salvaguardare l'igiene e la sicurezza nei luoghi di lavoro).
L'art. 131-bis c.p., spiegano i giudici, "prende in considerazione reati rispetto ai quali non difetti alcuno degli elementi costitutivi, ritenuti non punibili perché irrilevanti in base ai principi di proporzione ed economia processuale, e si riferisce anche ai reati di pericolo, senza distinguere tra pericolo astratto o pericolo concreto, sicché non si pone un problema di inoffensività del fatto ma di irrilevanza dello stesso. La esiguità del danno o (come nel caso di specie) del pericolo va valutata sulla base di elementi oggettivamente apprezzabili, dai quali ricavare la minima entità delle conseguenze o del pericolo e, dunque, la loro irrilevanza in sede penale".
Un simile accertamento è compito del giudice di merito, che provvederà a verificare il pericolo conseguente alle omissioni della ricorrente, in quanto alla Corte di Cassazione è precluso l'apprezzamento dei presupposti per il riconoscimento della causa di non punibilità nei casi in cui, come in quello in esame, si renda necessaria una valutazione complessiva di profili di fatto.