La dichiarazione di fallimento è elemento costitutivo del reato di bancarotta fraudolenta (Cass. Pen
Il reato di bancarotta fraudolenta di cui all'art. 216 della Legge fallimentare si consuma solo con la sentenza che dichiara il fallimento della società, essendo la declaratoria di insolvenza un elemento costitutivo del reato e non una condizione oggettiva di punibilità.
E' quanto emerge dalla sentenza della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione del 12/09/2018, n. 40477.
In merito alla qualificazione della sentenza dichiarativa di fallimento come elemento costitutivo del reato, piuttosto che come condizione oggettiva di punibilità, la giurisprudenza afferma che, in tema di bancarotta, la dichiarazione di fallimento è un elemento costitutivo del reato ed il medesimo si perfeziona in tutti i suoi elementi costitutivi solo nel caso in cui il soggetto che abbia commesso anche in precedenza attività di sottrazione dei beni aziendali, sia dichiarato fallito (Cass. Pen. Sez. V 14/10/2014, n. 48739).
Un diverso e più recente orientamento ha affermato, invece, che la dichiarazione di fallimento, ponendosi come elemento estraneo all'offesa tipica e alla sfera di volizione dell'agente, costituisce condizione obiettiva di punibilità, che circoscrive l'area di illiceità penale alle sole ipotesi nelle quale alle condotte del debitore segue la dichiarazione di fallimento (Cass. pen., Sez. V, 12/10/2017, n. 53184).
Gli ermellini accolgono il primo dei due orientamenti: il reato di bancarotta fraudolenta si consuma con la sentenza dichiarativa del fallimento della società, in quanto la declaratoria di insolvenza rappresenta un elemento costitutivo del reato e non una condizione obiettiva di punibilità.
Il tempo della commissione del reato è rilevante in quanto è alla sentenza che dichiara il fallimento che occorre fare riferimento anche per la verifica dell'applicazione dell'amnistia o dell'indulto, sebbene la condotta si sia esaurita in precedenza.