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Responsabilità medica: legittima la condanna della sola ASL (Cass. Civ. sez. III sent. 27/11/2018 n.

Se il paziente chiama in giudizio l'azienda sanitaria per far valere un'ipotesi di responsabilità medica, la circostanza che questa abbia poi chiamato in garanzia il medico cui è ascrivibile la condotta contestata non è idonea a far scattare automaticamente l'estensione al terzo dell'azione giudiziale.

Lo ha detto la Corte di cassazione nella sentenza numero 30601/2018 del 27/11/2018, così chiarendo che in simili ipotesi non si determina un litisconsorzio necessario.

La circostanza che il litisconsorzio sia solo facoltativo fa sì che non può ritenersi invalida la sentenza che ha deciso sulla domanda originaria proposta dal paziente nei confronti della struttura sanitaria, senza ampliare il giudizio al medico.

Del resto, se il fatto che determina la responsabilità dell'amministrazione è solo quello posto in essere dal funzionario, il titolo di responsabilità permane comunque distinto "venendo in questione rapporti giuridici autonomi che danno luogo a cause distinte, se pure poste in rapporto di dipendenza, tale per cui la responsabilità della PA presuppone l'accertamento del fatto del dipendente".

La domanda risarcitoria proposta dal paziente può pertanto rivolgersi direttamente nei confronti della ASL e/o del sanitario "le cui responsabilità appaiono compatibili e possono quindi cumularsi".

L'estensione della domanda dell'attore nei confronti del medico scatta, semmai, se la ASL lo indica come unico vero responsabile del danno e non quando, come nel caso deciso con la sentenza in commento, si "limita" a chiamarlo in garanzia.

Il paziente che, quindi, visto il litisconsorzio facoltativo decide di agire contro la struttura sanitaria e non contro il medico non può poi lamentarsi della mancata partecipazione del sanitario al processo.

Se avesse inteso estendere la propria azione risarcitoria anche nei suoi confronti avrebbe dovuto promuovere una rituale iniziativa processuale e formulare una specifica domanda di condanna.

In tali caso, per la Corte, non opera infatti il principio di automatica estensione della domanda originaria.

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