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Incidente stradale: no ai danni non patrimoniali se la vittima muore dopo due ore (Cass. Civ. sez. V

Nessun risarcimento del danno non patrimoniale spetta agli eredi, se la vittima muore, in un lasso di tempo dopo il sinistro, non suscettibile di accertamento medico legale.

E’ quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, Sezione VI Civile - Sotto Sezione 3, nell’ordinanza del 13/12/2018, n. 32372.

Nella vicenda in esame, i ricorrenti avevano perduto, in conseguenza d'un fatto illecito, rispettivamente una figlia ed una sorella; dopo avere ottenuto il risarcimento, avevano proposto ricorso per cassazione, sostenendo che il ristoro ricevuto, non sarebbe stato adeguato. La difesa degli istanti muove dall'assunto che esistano a priori categorie di danni, quali "danno biologico terminale", "danno esistenziale", "danno tanatologico". Dette espressioni in tema di danno non patrimoniale in realtà non hanno alcuna dignità scientifica, essendo usate in modo polisemico e, come l'espressione "danno tanatologico" sono talvolta anche etimologicamente scorrette.

La persona ferita, che sopravviva quodam tempore, e poi muoia a causa delle lesioni sofferte, può patire un danno non patrimoniale. Tale danno può teoricamente manifestarsi in due modi: il primo è il danno derivante dalla lesione della salute; il secondo è il turbamento dell'animo e dalla sofferenza derivanti dalla consapevolezza della morte imminente.

Ciò che differenzia detti pregiudizi non patrimoniali, non è la natura giuridica, ma la consistenza reale; in particolare il danno da lesione della salute ha fondamento medico legale, consiste nella forzosa rinuncia alle attività quotidiane durante il periodo della invalidità e sussiste anche quando la vittima sia stata incosciente. Il secondo, invece, non ha fondamento medico legale, consiste in un moto dell'animo ed inoltre, si verifica quando la vittima sia stata cosciente e consapevole.

Pertanto, la vittima di lesioni potrà acquistare il diritto al risarcimento del danno alla salute, in quanto abbia sofferto un danno alla salute legalmente apprezzabile, dal momento che per definizione normativa, il danno biologico è solo quello "suscettibile di accertamento medico legale".

In effetti, il danno biologico non consiste nella mera lesione dell'integrità psicofisica, ma implica che tale lesione abbia compromesso il completo esercizio delle attività realizzatrici dell'individuo nel suo ambiente di vita. Pertanto, in mancanza di una apprezzabile protrazione della vita successivamente alle lesioni, pur risultando lesa l'integrità fisica del soggetto offeso, non è possibile configurare un danno biologico risarcibile, in assenza di una perdita delle potenziali utilità connesse al bene salute suscettiva di essere valutata in termini economici. Per tali motivi, nel caso di morte causata da lesioni personali, sopravvenuta a distanza di tempo dal verificarsi di queste, un danno biologico permanente non è concepibile, mentre per l’esistenza del danno biologico temporaneo, sarà necessario che la lesione della salute si sia protratta per un tempo apprezzabile, perchè solo un lasso temporale apprezzabile consente quell' "accertabilità medico legale" che costituisce il fondamento del danno biologico temporaneo.

Detto "lasso apprezzabile di tempo" dovrà essere superiore alle 24 ore, atteso che il “giorno” costituisce l'unità di misura medico legale della invalidità temporanea, sebbene, in astratto non potrebbe escludersi a priori l'apprezzabilità del danno anche per periodi di tempo inferiori. In ogni caso, stabilire se la vittima abbia patito un danno biologico "suscettibile di accertamento medico legale" è una valutazione spettante al giudice di merito, non essendo sindacabile in sede di legittimità.

Nel caso in esame, il giudice di merito non ha negato in iure la risarcibilità del danno alla salute che la vittima poteva teoricamente aver patito, ma ha escluso in facto che la vittima, nelle due ore di sopravvivenza, avesse patito un danno alla salute, suscettibile di accertamento medico legale.

Parimenti infondate sono le deduzioni dei ricorrenti, laddove lamentano l'erroneità del rigetto della domanda di risarcimento del danno "morale" patito dalla vittima. Dunque, il suddetto pregiudizio presuppone che la vittima sia rimasta cosciente ed abbia avuto consapevolezza della propria morte imminente, ciò nel caso di specie non è stato nemmeno dedotto. In effetti, la descrizione contenuta nel ricorso, delle condizioni cui la vittima è giunta in ospedale, induce a ritenere corretta la valutazione del giudice di merito, là dove ha escluso la sussistenza del danno in questione.

La circostanza che la vittima di lesioni sia stata sottoposta ad un intervento chirurgico nel lasso di tempo intercorso tra l'evento lesivo e l'exitus, "esclude che la vittima abbia potuto coscientemente percepire il proprio stato acquisendo consapevolezza dell'imminenza della morte o della gravissima entità delle lesioni patite" (così Sez. 3, sent. n. 909 del 17/01/2018, in motivazione). In ragione di ciò, correttamente il giudice di merito ha negato, che la vittima potesse aver avuto, nelle due ore di sopravvivenza, la consapevolezza della propria sorte, e quindi di aver provato la formido mortis.

Alla luce dei suddetti principi già affermati in precedenti pronunce dalla Cassazione, il risarcimento del danno non patrimoniale provocato dalla paura della morte imminente, non è dovuto se la vittima non era lucida e cosciente. I ricorrenti non hanno dimostrato che la vittima era consapevole o che aveva provato tale timore, essendo la stessa giunta in ospedale non cosciente ed essendo stata sedata subito dopo, per l’operazione chirurgica a cui è stata sottoposta.

Per tali ragioni, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso con condanna alle spese di lite e ad un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione.

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