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Non si può licenziare chi torna da una lunga malattia (Cass. Civ. sez. Lav. sent. 23/09/2019 n. 2358

Deve considerarsi nullo il licenziamento con intento ritorsivo nei confronti del lavoratore che sia rientrato dopo un lungo periodo di malattia.

Legittima la sentenza che, esaminata complessivamente la vicenda ed esclusa la sussistenza in concreto del giustificato motivo oggettivo a fondamento del recesso, abbia verificato, secondo una valutazione dell'id quod plerumque accidit, che l'iniziativa datoriale non trovasse altra plausibile e ragionevole spiegazione del licenziamento se non la rappresaglia per la lunga malattia.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza in commento confermando la legittimità del provvedimento che aveva ritenuto nullo il licenziamento intimato al lavoratore per ritorsione.

Nel dettaglio, il lavoratore aveva ricevuto, al momento del suo rientro in servizio dopo una lunga assenza del malattia (circa sette mesi), una lettera di licenziamento motivata dalla scelta organizzativa di chiudere il settore produttivo di cui si occupava, con conseguente soppressione della posizione e della funzione ricoperta dal lavoratore in azienda e impossibilità di ricollocamento in altre mansioni uguali o equivalenti.

Tuttavia, la Corte di appello riteneva insussistente un giustificato motivo oggettivo, anzi, ravvisava la sussistenza del motivo ritorsivo del licenziamento, espressivo della volontà di rappresaglia per la prolungata assenza del dipendente per malattia.

Nel dettaglio, l'intento ritorsivo era dimostrato per presunzioni, ma non dalla sola circostanza della contiguità temporale tra rientro in servizio e intimazione del recesso, né come mero riflesso della infondatezza del motivo oggettivo, quanto piuttosto alla stregua di una valutazione complessiva della vicenda e in applicazione delle comuni regole di esperienza.

La decisione trova conferma anche in Cassazione nonostante il ricorso della società datrice di lavoro. Gli Ermellini rammentano, quanto al carattere ritorsivo del licenziamento, che per accordare la tutela che l'ordinamento riconosce a fronte di tale violazione, occorre che l'intento ritorsivo datoriale abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere dal rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso.

L'onere della prova del carattere ritorsivo nel provvedimento adottato dal datore di lavoro grava sul lavoratore e può essere assolto con la dimostrazione di elementi specifici tali da far ritenere con sufficiente certezza l'intento di rappresaglia, dovendo tale intento aver avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà del datore di lavoro.

Per accordare la tutela prevista per il licenziamento nullo (art. 18 c. 1 L. 300/70), perché adottato per motivo illecito determinante ex art. 1345 c.c., occorre che il provvedimento espulsivo sia stato determinato esclusivamente da esso, per cui la nullità deve essere esclusa se con lo stesso concorra un motivo lecito, come una giusta causa o un giustificato motivo.

Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di tali principi, poiché ha esaminato la domanda incentrata sulla natura ritorsiva del licenziamento dopo avere escluso la sussistenza in concreto del giustificato motivo oggettivo addotto da parte datoriale a fondamento del recesso.

Ha poi posto in relazione tra loro gli elementi indiziari acquisiti al giudizio, affermando che si trattava di "... valutare complessivamente la vicenda ..." e di applicare le "regole di esperienza poste a base del ragionamento presuntivo", per cui il licenziamento del reclamante, dal punto di vista oggettivo e soggettivo, non presentava altra spiegazione che il collegamento causale con l'assenza per malattia.

La Corte territoriale ha spiegato come i suddetti elementi, in una valutazione globale, unitamente alla circostanza della contiguità temporale tra rientro dalla malattia e intimazione del recesso, rendessero evidente il carattere pretestuoso del motivo addotto, sì da portare a ritenere, secondo una valutazione dell'id quod plerumque accidit, che l'iniziativa datoriale non trovasse altra plausibile e ragionevole spiegazione del licenziamento se non la rappresaglia per la lunga malattia.

Va confermata dunque la reintegra del dipendente e il risarcimento pari alle retribuzioni dalla data del recesso fino all'effettiva ripresa in servizio.

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