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Libero professionista può lavorare gratis per amici e parenti (Cass. Civ. sez. V sent. 28/10/2015 n.

Nella sentenza in oggetto viene analizzata una questione piuttosto sensibile, in termini di fisco, allo stato attuale. Infatti, nella stessa si discute in merito alla lecita gratuità dell'operato di un professionista nei confronti di soggetti con i quali oltre a ricorrere, in alcuni casi, un rapporto di lavoro, vi è altresì un rapporto di parentela o di amicizia.

Nella sentenza per cui è causa, la Suprema Corte di Cassazione, si trova a dover analizzare alcune prestazioni eseguite da un libero professionista, al fine di vagliarne la gratuità come lecita o meno, laddove la stessa sia stata resa tale poiché intercorrente un rapporto di amicizia o di parentela tra lo stesso, il professionista, ed il cliente. In particolare, l'Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., domiciliata presso l'Avvocatura Generale, presentava ricorso contro il professionista e contro la sentenza della Commissione Tributaria Regionale, relativamente all'impugnazione di un avviso di accertamento relativo ad IVA, IRPEF e IRAP, dovute per l'anno di imposta 2001, in relazione all'attività di consulente e per dei compensi non registrati e non fatturati.

A seguito del ricorso del contribuente, che veniva respinto, i giudici della Corte d'Appello, sostenevano che a fronte di una corretta contabilità del contribuente, la gravità della sua opera in favore di alcuni soggetti era da giustificarsi in considerazione dei rapporti di parentela e di amicizia con gli stessi, non solo, anche per la circostanza che in alcuni casi il compenso rientrava in quello già corrisposto dalla società di appartenenza. Sulla stessa, in quanto interpellata, a seguito di presentazione del ricorso, interviene quindi la suddetta Corte di Cassazione, che sulla reiterazione della contestazione mossa dalla Amministrazione finanziaria, ritiene, con riferimento ai primi motivi di impugnazione ex art. 360 c.p.c. l'infondatezza sostenendo che affinché alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, vengano contrapposte quelle dell'appellante, occorre il ricorrere della parte argomentativa oltre quella volitiva, al fine di contrastare e screditare le ragioni addotte dal primo giudice, tale esigenza, tuttavia, non può impedire che il dissenso della parte soccombente investa l'intera decisione impugnata e che pertanto, si sostanzi nelle argomentazioni poste a base della domanda non accolta dal giudice di prime cure. Infatti, è innegabile la considerazione per la quale solo sottoponendo al giudice d'appello le suddette argomentazioni, ritenute giuste e idonee al conseguimento della pretesa fatta valere, si adempia pienamente all'onere di specificità posto a fondamento del ricorso.

Relativamente agli altri motivi di impugnazione, si può invece, parlare di prestazione non fatturabile e che il tutto sia stato dimostrato dal pagamento dei compensi da parte delle società di persone di cui erano soci alcuni clienti del professionista e che in alcuni casi si trattasse soltanto di un'attività di invio telematico delle dichiarazioni dei redditi. Altresì valida la considerazione dei rapporti di amicizia o parentela intercorrenti che unitamente alle altre riflessioni, hanno indotto la Suprema Corte ad ammettere e ritenere valida e dunque ammissibile la gratuità delle prestazioni, rigettando quindi il ricorso.

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