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I criteri per la quantificazione e determinazione dell'assegno di divorzile secondo la giurisprudenza della Cassazione

E' del 2018 l'arresto delle SS.UU. volto ad indicare un percorso interpretativo che tenesse conto dell'esigenza riequilibratrice (sottolineata dalle SS.UU. del 1990) e della necessità di "attualizzare il diritto al riconoscimento dell'assegno di divorzio anche in relazione agli standars europei", in coerenza con il quadro costituzionale di riferimento, con superamento della distinzione tra criterio attributivo e criteri determinativi dell'assegno di divorzio, essendosi affermato che il giudice deve accertare l'adeguatezza dei mezzi attraverso l'applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tener conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata e all'età dell'avente diritto.

I criteri di cui all'art. 5 c. 6 in esame costituiscono, nel loro complesso, il parametro di riferimento tanto della valutazione relativa all'an debeatur quanto di quella relativa al quantum debeatur: l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente, prescritto ai fini della prima operazione, deve aver luogo mediante una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti che tenga conto anche del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dello avente diritto, tutto ciò in conformità della funzione non solo assistenziale, ma anche compensativa e perequativa dell'assegno divorzile, discendente direttamente dal principio costituzionale di solidarietà.

In definitiva è necessario operare una verifica causalmente collegata alla valutazione degli altri indicatori contenuti nella prima parte del citato art. 5 c. 6 proprio al fine di accertare se l'eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi, all'atto dello scioglimento del vincolo, sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione del ruolo svolto all'interno della famiglia, "in relazione alla durata, fattore di cruciale importanza nella valutazione del contributo di ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune e/o del patrimonio dell'altro coniuge".

Le SS.UU. del 2018 hanno evidenziato come "l'autoresponsabilità - cui nella sentenza della Prima civile del 2017 si era dato centrale rilievo - deve infatti percorrere tutta la storia della vita matrimoniale e non comparire solo al momento della sua fine: dal primo momento di autoresponsabilità della coppia, quando all'inizio del matrimonio (o dell'unione civile) concordano tra loro le scelte fondamentali su come organizzarla e le principali regole che la governeranno; alle varie fasi successive, quando le scelte iniziali vengono più volte ridiscusse ed eventualmente modificate, restando l'autoresponsabilità pur sempre di coppia.

Quando poi la relazione di coppia giunge alla fine, l'autoresponsabilità diventa individuale, di ciascuna delle due parti: entrambe sono tenute a procurarsi i mezzi che permettano a ciascuno di vivere in autonomina e con dignità, anche quella più debole economicamente. Ma non si può prescindere da quanto avvenuto prima dando al principio di autoresponsabilità un'importanza decisiva solo in questa fase, ove finisce per essere applicato principalmente a danno della parte più debole".

In relazione al criterio specifico della durata del matrimonio, posto dalla legge n. 898/1970, art. 5 c. 6 quale "filtro" attraverso cui vagliare gli altri parametri indicati dalla norma, a fronte di un risalente orientamento secondo cui il criterio della durata del matrimonio poteva implicare l'azzeramento totale dell'assegno in casi eccezionali di brevissima durata del matrimonio (Cass. Civ. Sez. I sent. n. 7295 del 22/03/2013 relativa ad un matrimonio nel quale vi erano stati solo dieci giorni di convivenza e in cui erano passati meno di cento giorni tra la celebrazione del matrimonio e la separazione; Cass. n. 6164/2015), nella sentenza delle SS.UU. del 2018, si sono approfondite le ragioni in forza delle quali il criterio della "durata del matrimonio" ha la "cruciale importanza" riconosciuta nella pronuncia, precisandosi, come già detto, come la durata del vincolo non assume più rilievo solo ai fini della quantificazione dell'assegno, ma viene in considerazione, unitamente agli altri criteri, anche ai fini dell'accertamento del relativo diritto.

Come ribadito nella successiva sentenza n. 9004/2021 delle stesse SS.UU., "tale accertamento non inerisce all'atto costitutivo del vincolo coniugale, ma allo svolgimento di quest'ultimo nella sua effettività, contrassegnata dalle vicende concretamente affrontate dai coniugi come singoli e dal nucleo familiare nel suo complesso, anche nella loro dimensione economica, la cui valutazione trova fondamento, a livello normativo, nei criteri indicati dalla legge n. 898/1970, art. 5 c. 6, ai fini dell'accertamento della spettanza e della liquidazione dell'assegno".

L'arresto del 2018 delle SS.UU. ha poi evidenziato come "alla pluralità di modelli familiari consegue una molteplicità di situazioni personali conseguenti allo scioglimento del vincolo" (pluralità di modelli familiari tra i quali rientra, pacificamente, anche quello delle unioni civili).

Nella successiva ordinanza del 30/08/2019, n. 21926, il Palazzaccio ha ribadito che l'assegno di divorzio ha una funzione assistenziale, ma parimenti anche compensativa e perequativa, come indicato dalle SS.UU., e presuppone l'accertamento di uno squilibrio effettivo e di non modesta entità delle condizioni economiche patrimoniali delle parti, riconducibile in via esclusiva o prevalente alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli dei componenti della coppia coniugata, al sacrificio delle aspettative lavorative e professionali di uno dei coniugi.

Sul tema della pari ordinazione dei criteri di cui alla alla legge n. 898/1970, art. 5 c. 6, si sofferma poi la sent. n. 4215/2021, a mente della quale, posto che l'assegno divorzile svolge una funzione sia assistenziale che perequativa e compensativa, il giudice: a) attribuisce e quantifica l'assegno alla stregua dei parametri pari ordinati di cui all'art. 5 c. 6, prima parte, tenuto conto dei canoni enucleati dalle SS.UU. del 2018, prescindendo dal tenore di vita godibile durante il matrimonio; b) procede pertanto ad una complessiva ponderazione "dell'intera storia familiare", in relazione al contesto specifico; in particolare, atteso che l'assegno deve assicurare all'ex coniuge richiedente - anche sotto il profilo della prognosi futura - un livello reddituale adeguato allo specifico contributo dallo stesso fornito alla realizzazione della vita familiare e alla creazione del patrimonio comune e/o personale dell'altro coniuge, accerta previamente non solo se sussista uno squilibrio economico tra le parti, ma anche se esso sia riconducibile alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli all'interno della coppia e al sacrificio delle aspettative di lavoro di uno dei due; verifica, infine, se siffatto contributo sia stato già in tutto o in parte altrimenti compensato, fermo che, nel patrimonio del coniuge richiedente, non devono computarsi anche gli importi dell'assegno di separazione, percepiti dal medesimo in unica soluzione, in forza di azione esecutiva svolta con successo, in ragione dell'inadempimento dell'altro coniuge.

La sentenza delle SS.UU. n. 32198 del 05/11/2021, dopo aver chiarito l'impossibilità di applicare analogicamente l'art. 5 c. 10 della legge sul divorzio (che prevede l'estinzione automatica dell'assegno quando il soggetto richiedente passi a "nuove nozze"), ha affermato che l'instaurazione da parte dell'ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione, nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina necessariamente la perdita automatica ed integrale del diritto all'assegno in relazione alla sua componente compensativa. Nella suddetta decisione, per che rileva ai fini della questione in esame, le SS.UU. hanno precisato che "la considerazione del contributo dato da ciascun coniuge durante la comunione familiare, in funzione retributivo-compensativa, seve ad evitare, come segnalato da attenta dottrina, equivoci, condizionamento e commistioni rispetto alle successive opzioni esistenziali dell'interessato, assicurandogli, nel reale rispetto della sua dignità, il riconoscimento degli apporti e dei sacrifici personali profusi nello svolgimento della, ormai definitivamente conclusa, esperienza coniugale. Laddove, pertanto, in caso di nuova convivenza si può giustificare il venir meno della componente assistenziale dell'assegno, a diverse conclusioni deve giungersi per la componente compensativa: in presenza del presupposto indefettibile della mancanza di mezzi adeguati ed a fronte della prova del comprovato emergere di un un contributo, dato dal coniuge debole con le sue scelte personali e condivise in favore della famiglia, alle fortune familiari ed al patrimonio dell'altro coniuge (che rimarrebbe ingiustamente sacrificato se si aderisse alla tesi della caducazione integrale del diritto all'assegno), il coniuge beneficiario non perde automaticamente il diritto all'assegno (che potrà essere rimodulato o quantificato, in sede di giudizio per il suo riconoscimento, in funzione della sola componente compensativa). Nella decisione la Corte di Cassazione si sofferma sulla questione dell'interferenza tra i vari modelli familiari, per affermare che "l'instaurazione di una nuova convivenza stabile ... comporta la formazione di un nuovo progetto di vita con il nuovo compagno o la nuova compagna, dai quali si ha diritto di pretendere, finché permane la convivenza, un impegno dal quale possono derivare contribuzioni economiche che non rilevano più per l'ordinamento solo quali adempimento di una obbligazione naturale, ma costituiscono, dopo la regolamentazione normativa delle convivenza di fatto, anche l'adempimento di un reciproco e garantito dovere di assistenza morale e materiale".

Le SS.UU. hanno sottolineato come la situazione di convivenza non sia "pienamente assimilabile al matrimonio" (né sotto il profilo della, almeno tendenziale, stabilità, né tanto meno sotto il profilo delle tutele che offre al convivente, nella fase fisiologica e soprattutto nella fase patologica del rapporto) e che le situazioni "eterogenee sul piano del diritto positivo" e le diverse regolamentazioni dei due istituti (che non consentono il ricorso all'analogia) giustificano la diversa disciplina e, in particolare, la caducazione del diritto all'assegno di divorzio solo in caso di successivo matrimonio dell'avente diritto, ma non in presenza di una sua stabile convivenza.

Un ultimo richiamo giurisprudenziale attiene al riferimento, ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile, alla durata del rapporto di coniugio, intesa non come limitata alla durata effettiva della convivenza, con esclusione del periodo di separazione personale tra i coniugi.

I criteri previsti dalla l. n. 898/1970, art. 5 c. 6, ai fini dell'attribuzione e della quantificazione dell'assegno dovuto all'ex coniuge, devono trovare applicazione in riferimento all'intera durata del vincolo matrimoniale, anziché a quella effettiva della convivenza, dovendosi in particolare comprendere, nella nozione di contributo fornito da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di entrambi, non solo quello offerto nel periodo della convivenza (coniugale), ma anche quello prestato in regime di separazione, soprattutto per quanto riguarda il mantenimento, l'istruzione e l'educazione dei figli (cfr. Cass., Sez. I, 7/11/1981, n. 5874; 29/05/1978, n. 2684).

Il principio, affermato in risalenti pronunce, è stato pacificamente applicato ma ha assunto recentemente particolare rilievo all'indomani dell'arresto delle SS.UU. del 2018, in quanto, nel nuovo contesto interpretativo della legge sul divorzio la durata del vincolo coniugale non assume più rilievo esclusivamente ai fini della quantificazione dell'assegno, come ritenuto in precedenza, ma viene in considerazione, unitamente agli altri criteri, anche ai fini dell'accertamento del relativo diritto, e ciò può quindi giustificarne l'esclusione, ove, per la sua brevità, non abbia consentito la prestazione di un significativo contributo o il sacrificio di apprezzabili aspettative professionali da parte del richiedente: anche in passato, d'altronde, la precoce interruzione della convivenza veniva ritenuta idonea a giustificare l'azzeramento dell'importo dell'assegno, nei casi eccezionali in cui avesse impedito l'instaurazione di una comunione materiale e spirituale tra i coniugi, e quindi il consolidamento di un comune tenore di vita (cfr. Cass. n. 6164/2015; Cass. n. 7295/2013; Cass. n. 8233/2000).

Riguardo ai temi della violazione dei doveri del matrimonio e della conseguente responsabilità civile nell'ambito dei rapporti coniugali e familiari nonché del rapporto tra convivenza e matrimonio, con riferimento agli obblighi gravanti sui coniugi, la Corte, nella sentenza n. 9801 del 2005 (così massimata: "Il rispetto della dignità e della personalità, nella sua interezza, di ogni componente del nucleo familiare assume il connotato di un diritto inviolabile, la cui lesione da parte di altro componente della famiglia costituisce il presupposto logico della responsabilità civile, non potendo da un lato ritenersi che diritti definiti inviolabili ricevano diversa tutela a seconda che i titolari si pongano o meno all'interno di un contesto familiare (e ciò considerato che la famiglia è luogo di incontro e di vita comune nel quale la personalità di ogni individuo si esprime, si sviluppa e si realizza attraverso l'instaurazione di reciproche relazioni di affetto e di solidarietà, non già sede di compressione e di mortificazione di diritti irrinunciabili); e dovendo dall'altro lato escludersi che la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio - se ed in quanto posta in essere attraverso condotte che, per la loro intrinseca gravità, si pongano come fatti di aggressione ai diritti fondamentali della persona - riceva la propria sanzione, in nome di una presunta specificità, completezza ed autosufficienza del diritto di famiglia, esclusivamente nelle misure tipiche previste da tale branca del diritto (quali la separazione e il divorzio, l'addebito della separazione, la sospensione del diritto all'assistenza morale e materiale nel caso di allontanamento senza giusta causa dalla residenza familiare), dovendosi invece predicare una strutturale compatibilità degli istituti del diritto di famiglia con la tutela generale dei diritti costituzionalmente garantiti, con la conseguente, concorrente rilevanza di un dato comportamento sia ai fini della separazione o della cessazione del vincolo coniugale e delle pertinenti statuizioni di natura patrimoniale, sia (e sempre che ricorrano le sopra dette caratteristiche di gravità) quale fatto generatore di responsabilità aquiliana. E siccome l'intensità dei doveri derivanti dal matrimonio, segnati da inderogabilità ed indisponibilità, non può non riflettersi sui rapporti tra le parti nella fase precedente il matrimonio, imponendo loro - pur in mancanza, allo stato, di un vincolo coniugale, ma nella prospettiva di tale vincolo - un obbligo di lealtà, di correttezza e di solidarietà, sostanziantesi anche in un obbligo di informazione di ogni circostanza inerente alle proprie condizioni psicofisiche e di ogni situazione idonea a compromettere la comunione materiale e spirituale alla quale il matrimonio è rivolto, è configurabile un danno ingiusto risarcibile allorché l'omessa informazione, in violazione dell'obbligo di lealtà, da parte del marito, prima delle nozze, della propria incapacità coeundi a causa di una malformazione, da lui pienamente conosciuta, induca la donna a contrarre un matrimonio che, ove informata, ella avrebbe rifiutato, così ledendo quest'ultima nel suo diritto alla sessualità, in sé e nella sua proiezione verso la procreazione, che costituisce una dimensione fondamentale della persona ed una delle finalità del matrimonio"), ha, in particolare, affermato, in una fattispecie nella quale il futuro coniuge aveva celato all'altro una patologia che impediva lo svolgimento di una normale vita coniugale, che "l'intensità dei doveri derivanti dal matrimonio, segnati da inderogabilità ed indisponibilità, non può non riflettersi sui rapporti tra le parti nella fase precedente il matrimonio, imponendo loro - pur in mancanza, allo stato, di un vincolo coniugale, ma nella prospettiva della costituzione di tale vincolo - un obbligo di lealtà, di correttezza e di solidarietà".

Nella decisione si è evidenziato come "nel sistema delineato dal legislatore del 1975, il modello di famiglia-istituzione, al quale il codice civile del 1942 era rimasto ancorato, è stato superato da quello di famiglia - comunità, i cui interessi non si pongono su un piano sovraordinato, ma si identificano con quelli solidali dei suoi componenti. La famiglia si configura ora come il luogo di incontro e di vita comune dei suoi membri, tra i quali si stabiliscono relazioni di affetto e di solidarietà riferibili a ciascuno di essi".

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