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Non è revocabile il lavoro di pubblica utilità se mancano enti convenzionati (Cass. Pen. sez. I sent

In caso di condanna per il reato di guida in stato di ebbrezza, la pena detentiva e pecuniaria può essere sostituita con quella dei lavori di pubblica utilità, da svolgersi presso enti pubblici territoriali e organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato individuati attraverso apposite convenzioni con i tribunali.

L’esito positivo del lavoro di pubblica utilità comporta l’estinzione del reato, oltre al dimezzamento della sanzione della sospensione della patente e la revoca della confisca del veicolo sequestrato.

Nel caso, invece, di esito negativo il giudice dispone la revoca della pena sostitutiva, ripristinando quella sostituita, la sospensione della patente e la confisca.

Può essere disposta la revoca quando l’interessato non abbia reperito un ente convenzionato presso il quale svolgere i lavori di pubblica utilità?

A questa domanda risponde la Corte di Cassazione, sez. I penale, con la sentenza del 10/10/2017, n. 46555.

Nella specie, l’imputato a seguito di adesione a rito alternativo, ex art. 444 c.p.p., era stato condannato dal Tribunale di Lecce alla pena di mesi uno, giorni dieci di arresto ed € 900.00 di ammenda, sostituita con la pena di mesi uno e giorni quattordici di lavoro di pubblica utilità.

Le indicazioni dell’ente presso cui la misura avrebbe dovuto avere corso di esecuzione erano state fornite dal Comune e dall’Uepe dell’originario comune di residenza dell’imputato.

A seguito del forzato trasferimento del condannato in un differente circondario, causato dalla perdita del lavoro, venivano intrapresi differenti rapporti di corrispondenza con il nuovo ufficio territoriale Uepe.

Nel mentre, il difensore dell’imputato depositava, presso il Tribunale di Lecce, un’istanza con la quale comunicava che la sanzione sostitutiva avrebbe avuto corso di esecuzione in un altro circondario.

In assenza di riscontri avverso tale comunicazione, il 28/06/2016 si svolgeva l’udienza camerale all’esito della quale il Tribunale di Lecce disponeva la revoca della sanzione sostitutiva.

Il 24/10/2016 il Tribunale di Lecce accoglieva l’istanza di sospensione dell’ordinanza impugnata.

Il difensore dell’imputato promuoveva ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza di revoca dei lavori di pubblica utilità.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’imputato ritenendo illegittimo il provvedimento di revoca poiché fondato su ipotesi differenti da quelle disciplinate dalla legge nonché basate su comportamenti incolpevoli dell’agente (ex plurimis Cass. sez. I n. 37357 del 06/06/14, Cass. sez. I n. 34234 del 29/05/15).

In maniera precisa e puntuale la Suprema Corte ha evidenziato che sia nel caso del reato di guida in stato di ebbrezza che di alterazione psico fisica per uso di sostanze stupefacenti è esclusivo compito del giudice procedente individuare le modalità di attuazione.

Pertanto non deve incombere sul condannato alcun obbligo di indicazione dell’ente o della struttura preposta all’esecuzione dei lavori di pubblica utilità né l’avvio del procedimento per l’attività lavorativa cui deve dare esecuzione (ex pluris Cass. sez. I n. 7172 del 13/01/16, Cass. sez. I n. 35855 del 18/06/15, Cass. sez. IV n. 50076 del 31/10/17).

Pertanto il condannato è l’esclusivo titolare del diritto di richiedere l’applicazione della sanzione sostitutiva nonché del diritto di non opposizione rispetto alla misura di cui al c. 9 bis dell’art. 186 CdS e anche dinnanzi ad una sostituzione disposta d’ufficio sempre che non vi sia opposizione (ex pluris Cass. sez. IV 8/02/12 n. 4927, 16/07/14 n. 35278, 15/03/13, n. 15563).

È evidente che l’iter motivazionale della Suprema Corte evidenzia il carattere attivo assegnato alla funzione del Pm nella fase esecutiva: sia nel corso dell’esecuzione delle sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata ex art. 661 c.p.p. che in sede di esecuzione dei provvedimenti di condanna, o in sede di esecuzione di una pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità anche in relazione alle pronunce del Giudice di Pace (ex art. 44, D.Lgs. n. 274/2000).

Il principio finale espresso dalla Suprema Corte, la quale disponeva l’annullamento dell’ordinanza impugnata per un nuovo esame al Tribunale di Lecce, trae esclusivo fondamento dalle politiche di coordinamento che devono attuarsi tra l’autorità giudiziaria e gli organi pubblici, le quali, in caso di disservizi, non possono tradursi in ingiustificati oneri a carico dell’imputato condannato.

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