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Convivente e parenti del defunto: no allo stesso difensore, c'é conflitto di interessi (Cass. Ci

La Corte di Cassazione, con la sentenza del 26/06/2015 n. 13218, ha confermato la decisione della Corte di Appello di Milano che aveva dichiarato inammissibile la domanda di risarcimento dei danni per la perdita di un congiunto, presentata dal convivente e dai parenti del defunto, per nullità della procura alle liti rilasciata allo stesso difensore con unico atto, nonostante l’evidente conflitto di interessi tra le posizioni.

I soggetti coinvolti nel giudizio erano il convivente more uxorio di una donna deceduta e i suoi fratelli, i quali avevano agito congiuntamente contro la Casa di cura ritenuta responsabile dell’evento mortale occorso alla congiunta a seguito di un intervento operatorio male eseguito.

Il Tribunale aveva accolto in parte la domanda e condannando la Casa di Cura e il medico al pagamento della somma di € 50.000 in favore del convivente e la somma di € 60.000 per ciascuno dei fratelli. La sentenza era stata impugnata in via principale dagli attori e in via incidentale dalla Casa di cura, ma la Corte milanese aveva rilevato d’ufficio la nullità dell’appello perché nulla la procura alle liti sottoscritta. Il medesimo difensore non avrebbe potuto rappresentare tutti e tre gli appellanti a causa dell’evidente conflitto di interessi tra le posizioni.

Infatti, la qualità di eredi legittimi vantata dai fratelli sarebbe stata in conflitto con quella di erede universale del convivente more uxorio, il quale, fin dal giudizio di primo grado, aveva dichiarato di essere erede in forza di un testamento olografo redatto dalla defunta. La condizione di erede universale avrebbe consentito all’uomo di ottenere anche il risarcimento del danno iure hereditatis negato dal primo giudice e riconosciuto invece ai fratelli.

In materia di risarcimento dei danni per la morte di un congiunto, sono astrattamente configurabili due tipi di danni. Il primo, il risarcimento iure proprio, consiste nel ristoro della sofferenza causata dalla perdita, del danno arrecato all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia (Cass. Civ., sez. III, 16/09/2008, n. 23725), oltre alla perdita dell'eventuale sostegno economico apportato dalla vittima.

Il secondo, il risarcimento iure hereditatis, che rientra nella categoria dei danni non patrimoniali, risarcibile ex se per il danno da perdita della vita, quale bene supremo dell'individuo, oggetto di un diritto assoluto e inviolabile. Una recente e fondamentale sentenza della Cassazione – Cass. Civ. n. 1361/2013 – ha precisato che non si tratta di danno alla salute, e deve essere di per se riconosciuto in favore della vittima che subisce la perdita della propria vita. Non è rilevante il presupposto della permanenza in vita per un apprezzabile intervallo successivo all'evento mortale, né l’intensità della sofferenza della vittima per avere percepito il sopraggiungere della propria fine. Il diritto al risarcimento per la perdita della vita si acquisisce subito, nel momento stesso in cui si verifica la lesione mortale e quindi anche in caso di morte immediata o istantanea. Questo diritto, avendo natura compensativa, è trasmissibile iure hereditatis. E’ chiaro che il convivente non ha diritto al risarcimento iure hereditatis a meno che non sia istituito erede dal defunto. La questione arriva in Cassazione. Secondo i ricorrenti la sentenza della Corte d'appello è errata perché si basa su in ipotetico conflitto di interessi che trae origine dalla sentenza di primo grado, nella quale il Tribunale ha escluso la qualità di erede in capo al convivente ed ha riconosciuto la qualità di eredi legittimi in capo ai fratelli della defunta.

Il problema non si sarebbe posto se il Tribunale avesse riconosciuto quale unico erede il convivente, in forza del testamento olografo che lo istituiva come tale, e i fratelli quali legittimati a chiedere il solo risarcimento iure proprio quale danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale.

La Corte d'appello, avrebbe omesso di verificare e analizzare le singole posizioni degli appellanti, dichiarando esistente un conflitto di interessi, e facendo derivare da tale ipotetico conflitto, la nullità dell'atto di appello.

Giova ricordare al riguardo che per la nullità del mandato conferito e l’invalidità degli atti conseguenti è sufficiente la sussistenza di un conflitto di interessi attuale o anche solo virtuale tra i clienti assistiti dallo stesso difensore (Cass. Civ. n. 21350/2005 e Cass. Civ. n. 8842/2004).

Inoltre, il conflitto di interessi, virtuale e/o potenziale, deve essere tale da non costituire una mera eventualità, ed essere valutato, invece, in correlazione stretta con il rapporto esistente tra le parti, i cui interessi siano suscettibili di contrapposizione (Cass. Civ. n. 12741/2005).

Con la sentenza in esame la Cassazione conferma la sentenza impugnata. La Corte precisa che il carattere dell'attualità del conflitto può anche venire meno, ma è necessario che dalle risultanze processuali emerga che la contrapposizione di interessi è stata effettivamente superata, come accade nel caso in cui una delle parti abbia rinunciato alle proprie pretese, in conflitto con quelle vantate dalla parte rappresentata dallo stesso difensore (Cass. Civ. n. 13204/2012). Dal contenuto dell'atto di appello e della comparsa conclusionale risulta, invece, che i ricorrenti hanno chiesto, col patrocinio dello stesso difensore, il risarcimento dei danni iure hereditaris e iure proprio. Le domande così formulate evidenziano il conflitto di interessi, e non lasciano spazio ad altre ipotesi per l'esclusione di tale conflitto.

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