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Moglie casalinga ma ricca? Deve versare l'assegno di mantenimento (Cass. Civ. sez. I sent. 29/04

L'obbligo di versare l'assegno di mantenimento può incombere anche all'ex moglie casalinga in caso di una disparità economica di notevole entità. 1. Il decisum La sentenza in commento focalizza la propria attenzione sulla natura dell’obbligo di pagamento dell’assegno di mantenimento incombente ad uno dei due ex coniugi al fine di garantire il medesimo tenore di vita della coppia in costanza di matrimonio. Il caso riguarda una donna casalinga che in virtù di un ingente patrimonio personale ammontante circa a tre milioni di euro, anche se priva di reddito da lavoro doveva farsi interamente carico del mantenimento dei due figli. La questione approda dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione, la quale conferma l’operato dei giudici di merito sancendo che non v’è alcuna differenza tra uomo e donna nel momento in cui deve essere garantito alla famiglia il medesimo tenore di vita, pertanto l’obbligo di pagare il mantenimento può incombere anche all’ex coniuge privo di reddito da lavoro, ma possessore di un ingente patrimonio personale che ha influito sullo stile di vita della famiglia durante l’unione matrimoniale. 2. Il ruolo dell’art. 156 cod. civ. e la determinazione dell’assegno di mantenimento In via preliminare si rende necessario illustrare le regole giuridiche dettate dall’art. 156 c.c. per quanto concerne la determinazione dell’assegno di mantenimento. Certamente non richiede particolari spiegazioni la fattispecie in cui la non addebitabilità della separazione ad uno dei due coniugi è motivo di corresponsione economica, specialmente se quest’ultimo ha una situazione patrimoniale più sfavorevole, tuttavia l’identificazione del quantum debeatur nell’ambito della corresponsione dell’assegno di mantenimento, a cui il giudice è chiamato a verificare, necessita di una maggiore riflessione. Il corretto accertamento del diritto a “quanto dovuto” nell’ambito della corresponsione dell’assegno di mantenimento è valutabile dai giudici seguendo criteri e linee guida comuni. Orbene, con riferimento ai parametri di determinazione dell’assegno di mantenimento all’altro coniuge economicamente “più fragile”, si rende prioritario valutare i redditi propri sia dell’ipotetico beneficiario che dell’obbligato. Sic et simpliciter non è sufficiente accertare la determinazione del quantum debeatur, pertanto, dottrina e giurisprudenza hanno cercato di riempire, per diversi anni, il vuoto legislativo concernente il c.d. “quanto dovuto”, ma come spesso accade negli altri istituti giuridici, opinioni ed indirizzi sono divergenti e non concordi nell’accertamento della corretta utilizzazione delle linee guida da seguire. L’art. 156 II c. c.c. fa riferimento ai redditi propri dell’obbligato per quanto concerne la corresponsione e l’entità stessa della somministrazione, in perfetto collegamento con l’art. 143 c.c. sui diritti e doveri reciproci con riferimento alla situazione economica del coniuge, comprensiva sia dei redditi da lavoro che dalla proprietà di beni immobili, depositi in denaro e titoli personali. Ad ogni buon conto la mancanza “di mezzi adeguati” e l’impossibilità “di procurarseli per ragioni oggettive” rappresentano i requisiti cardini del diritto a ricevere l’assegno di mantenimento. La disparità di situazioni reddituali e la funzione garantisca nel mantenere il medesimo tenore di vita della coppia in costanza di matrimonio deve essere compensata dal coniuge che possiede “mezzi adeguati” e può “procurarseli per ragioni oggettive”. A tal proposito grava sul giudice verificare se effettivamente il coniuge avente la situazione economica più debole abbia le capacità o meno di procurarsi mezzi di sostentamento economico atti a diminuire l’apporto patrimoniale dell’altro coniuge obbligato, in quanto tale circostanza in diritto fa la differenza. Infatti, tra i presupposti della sussistenza dell’assegno di mantenimento l’onere della prova (art. 2946 c.c.) ricade sul coniuge obbligato alla corresponsione del mantenimento. I criteri di accertamento del reddito dello stile di vita dei coniugi, prima e dopo la separazione, rappresentano dei capisaldi da cui il giudice deve partire per verificare l’effettiva sussistenza del diritto al c.d. “quanto dovuto”. A tal proposito, la giurisprudenza è costante nel ritenere che “il tenore di vita tenuto dai coniugi prima della separazione, quale standard di vita reso oggettivamente possibile dal complesso delle risorse economiche di questi”. La giurisprudenza è “pacifica” nel stabilire che il primo parametro da verificare, in sede di corresponsione dell’assegno di mantenimento, sia il c.d. tenore di vita “potenziale” del coniugi se entrambi avessero continuato la convivenza insieme. Il suesposto principio che fa riferimento al tenore di vita economico, quale possibile e non goduto dai coniugi a seguito della separazione, assume un paramento inscindibile di accertamento della corresponsione economica, anche se in costanza di matrimonio il reale tenore di vita sarebbe stato inferiore rispetto a quello potenziale che il giudice è tenuto a verificare. Pertanto è opportuno non confondere il tenore di vita con lo stile di vita, poiché quest’ultimo è costituito dalle aspettative di una vita coniugale insieme che non omette le potenzialità di una condizione economica molto agiata, bensì si concretizza nella legittima aspirazione di un considerevole cambiamento di stile di vita. In contrapposizione il tenore di vita è considerato, invece, come le potenzialità proprie dei coniugi sotto il profilo economico, ovvero quel tenore di vita potenziale che anche se non si sarebbe realizzato concretamente comunque non è stato goduto, pertanto è da considerare come una valutazione economica differente dallo stile dimesso alle aspettative e aspirazioni dei coniugi. 3. Conclusioni Alla luce di quanto sopra emerso, tout court, la Suprema Corte di Cassazione si è dovuta pronunciare su di una fattispecie rara ma possibile. Il legislatore fa riferimento a “condizioni dei coniugi”, dove secondo un’interpretazione della dottrina si deve tener conto tanto delle condizioni economiche tanto che delle condizioni di salute e familiare dei coniugi.

Ne consegue che non si può far a meno di considerare l’incidenza dell’addebito della separazione, ovvero sul coniuge su cui grava la responsabilità del fallimento del matrimonio costituisce il dovere alla corresponsione economica in favore dell’altro. Tutto ciò può incidere nella determinazione di quanto dovuto, ma tra tutte le linee guida analizzate queste sono solo alcuni dei parametri che il giudice può tenere conto a sua personale discrezione.

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