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Responsabilità civile dell’avvocato: la mancata deduzione di un mezzo istruttorio non basta (Cass. C

La mancata o carente deduzione di un mezzo istruttorio (nella specie ordine di esibizione) non determina la responsabilità professionale dell’avvocato qualora non sia provato che la regolare e tempestiva deduzione del mezzo istruttorio potesse incidere positivamente (secondo il criterio del “più probabile che non”) su l’esito della controversia.

La Corte di Cassazione si sofferma nuovamente sul problema della responsabilità civile dell’avvocato e, in particolare, sul problema del nesso causale fra la condotta negligente del professionista e l’esito della controversia. In particolare, confermando un orientamento consolidato, ribadisce che la responsabilità dell’avvocato sussiste solo nel caso in cui l’inadempienza dello stesso sia causalmente rilevante su l’esito della controversia.

Il fatto

La vicenda presa in esame dalla Corte di Cassazione è piuttosto particolare.

Un avvocato, riconosciutosi spontaneamente responsabile nei confronti del proprio cliente (e presumibilmente avendolo già risarcito) agisce nei confronti della propria assicurazione professionale per ottenere la rifusione di quanto dovuto al proprio cliente. In particolare, la responsabilità professionale dell’avvocato sarebbe derivata, nell’ambito di un giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo ai sensi dell’art. 548 c.p.c., dalla mancata tempestiva deduzione di un ordine di esibizione.

La domanda

Con atto di citazione l’avvocato agisce in giudizio nei confronti della propria assicurazione per ottenere la condanna di quest’ultima a tenerlo indenne del risarcimento dovuto per responsabilità professionale nei confronti di un proprio cliente.

Da quanto risulta la responsabilità professionale sarebbe stata spontaneamente ammessa dallo stesso legale.

Il Tribunale, in primo grado, respinge la domanda, in quanto, pur rilevando la negligenza del difensore, non ritiene sussistente il nesso di causalità fra l’inadempimento professionale e l’esito della controversia. L’avvocato propone appello avverso tale pronuncia. La Corte di Appello respinge la domanda sulla base di due argomentazioni: la mancata dimostrazione del nesso di causalità fra inadempimento e esito della controversia e, in ogni caso, l’irrilevanza dell’eventuale inadempimento nel corso del procedimento di accertamento dell’obbligo del terzo in conseguenza dell’erronea proposizione, ab origine, del pignoramento di quote di società secondo le forme del pignoramento presso terzi invece che con quelle disciplinate dall’art. 2471-bis c.c.

Anche tale sentenza viene impugnata dal professionista; la Corte di Cassazione, con la sentenza qui annotata, rigetta il ricorso nulla disponendo sulle spese, in considerazione della mancata costituzione della parte resistente.

La decisione della Corte di Cassazione

La sentenza qui annotata, pur apparentemente respingendo il ricorso, in realtà ne rileva la sostanziale inammissibilità, in quanto la ragione fondamentale del rigetto è rappresentata dalla mancata contestazione di una delle due rationes decidendi poste a fondamento della sentenza di secondo grado, il che porta ad escludere in radice la possibilità di esaminare nel merito i motivi di ricorso.

A prescindere da questo, la sentenza annotata si sofferma, evidentemente a titolo incidentale e rafforzativo della correttezza (anche sostanziale) della decisione, su alcuni interessanti profili giuridici relativi all’accertamento della responsabilità dell’avvocato.

In particolare, la Suprema Corte afferma che la mera negligenza di per sé non implica anche responsabilità civile dell’avvocato. La responsabilità sorge solo qualora sia allegato e provato in modo specifico il nesso di causalità fra la negligenza stessa e l’esito della controversia.

Con particolare riferimento a inadempimenti incorsi nella fase di deduzione istruttoria, quindi, occorre provare che questi avrebbero potuto cambiare l'esito della controversia.

Molto interessante è anche il riferimento al criterio probabilistico cui la Corte di Cassazione ricollega l’accertamento del nesso di causalità. Secondo la Suprema Corte, infatti, benché sia necessario provare il rapporto eziologico fra negligenza ed esito della controversia, configura tale prova in termini squisitamente probabilistici. In particolare, la sentenza in esame, sulla scorta di quanto già ritenuto in altre pronunce precedenti, definisce lo “standard probatorio” con cui deve essere valutata.

Più specificamente, secondo la Corte la prova del nesso di causalità non deve essere raggiunta in termini di certezza e neppure di alta probabilità; è sufficiente invece che, secondo una valutazione controfattuale, l’esito favorevole della controversia, nell’ipotesi di condotta adempiente dell’avvocato, risulti “più probabile che non”. Si tratta di una definizione che molto si avvicina al cosiddetto standard della preponderance of evidence di matrice statunitense.

La decisione in sintesi

Nell’accertamento della responsabilità civile dell’avvocato deve essere allegato e provato in modo specifico il nesso di causalità fra inadempimento ed esito della controversia, soprattutto ove l’inadempimento si collochi nella fase di deduzione dei mezzi di prova.

Esito della domanda

Rigetta il ricorso e nulla dispone sulle spese di lite in considerazione della mancata costituzione della parte resistente

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