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Esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed estorsione: delineati i confini (Cass. Pen., Sez. II,

Commette il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni chi, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé, mediante violenza sulle cose (art. 392 c.p.) o alle persone (art. 393).

L'esercizio arbitrario delle proprie ragioni presenta molti punti di contatto con il reato di estorsione (art. 629 c.p.), il cui trattamento sanzionatorio è peraltro molto più rigido.

Con la sentenza n. 46288/16 la Suprema Corte di Cassazione Sez. II Penale, ha chiarito i confini intercorrenti tra il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed il delitto di estorsione, nonché ha affrontato, seppur in maniera incidentale, la tematica del concorso di persone nei succitati reati.

La vicenda trae origine dal ricorso proposto da due coimputati accusati di avere esercitato, in concorso tra loro, violenze e minacce in danno della persona offesa, debitrice nei confronti di uno dei correi, per ottenere l'adempimento del debito, costringendola a consegnare loro le chiavi della propria autovettura oltre alla stessa autovettura, che i coimputati trattenevano come pegno in vista della successiva consegna della somma dovuta, nonché a firmare un documento ricognitivo del debito a titolo di ulteriore garanzia.

Il motivo di doglianza relativo alla questione in esame verteva, per entrambi, sull'errata qualificazione giuridica dei fatti accertati, che, secondo i ricorrenti, dovevano essere sussunti, tutt' al più, nell'alveo del mero esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e non, come invece affermato dal Giudice d' Appello, nelle ipotesi sanzionate dall'art. 629 c.p.-

Deve innanzitutto premettersi che il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, disciplinato dagli articoli 392 e 393 c.p., volto a tutelare l'interesse dello Stato ad impedire che la privata violenza si sostituisca all'esercizio della funzione giurisdizionale in occasione dell'insorgere di una controversia tra privati, è integrato, sotto il profilo oggettivo, nella prima ipotesi, da tutte quelle condotte violente perpetrate nei confronti di cose e, nella seconda, da comportamenti violenti o minacciosi indirizzati contro la persona e finalizzati, in entrambe le ipotesi delittuose, ad “un' autosoddisfazione arbitraria” di un preteso diritto.

Per quanto attiene all' elemento psicologico, entrambe le succitate fattispecie, richiedono il dolo specifico, integrato dall'intento di esercitare un preteso diritto nel ragionevole convincimento della sua legittimità.

Il delitto di estorsione, invece, disciplinato dall'art. 629 c.p., sanziona tutte quelle condotte connotate da violenza o minaccia finalizzate a costringere taluno a fare o ad omettere qualche cosa per procurare all'agente o a terzi un ingiusto profitto con altrui danno.

Per quanto attiene all'elemento soggettivo richiede il dolo specifico integrato dalla consapevolezza in capo all'agente di usare la violenza, fisica o morale, al fine di procurare a sé, o ad altri, l'ingiusto profitto.

La Cassazione, nella sentenza in esame, innanzitutto afferma che i due profili sulla base dei quali deve giungersi ad una distinzione delle due fattispecie delittuose concernono l'elemento psicologico e il soggetto agente, affermando, seppur incidentalmente, in ordine a tale ultimo profilo, un interessante principio in tema di concorso di persone.

Per quanto riguarda il profilo soggettivo, gli Ermellini, richiamando i numerosi precedenti conformi, affermano che per quanto attiene ai delitti ex artt. 392-393 c.p. l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione, anche se infondata, di esercitare un proprio diritto, ovvero, quantomeno, di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria, mentre, nell'estorsione, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella consapevolezza di non averne alcun diritto.

Si sostanzia pertanto nella diversa consapevolezza sottesa all'azione la sussumibilità dei fatti reato nell'alveo di una piuttosto che dell'altra fattispecie criminosa.

Nella sentenza in esame, viene superato anche un possibile contrasto, peraltro dagli stessi giudici definito "più apparente che reale" che valorizzerebbe, ai fini della predetta distinzione, la materialità del fatto, affermando che il discrimen sarebbe da rinvenire nella proporzionalità tra la condotta violenta o minacciosa e il fine perseguito, che qualora sproporzionato configurerebbe l'ipotesi più grave del delitto di estorsione, poiché tale comportamento, idoneo a coartare totalmente ogni possibilità di scelta della vittima, connaturerebbe il profitto come ingiusto.

Tale orientamento non appare condivisibile, secondo la II Sezione, in quanto sia l'art. 393 c. 3 c.p. che l'art. 629 c. 2 c.p. (mediante richiamo dell'art. 628 c. 3, n. 1 c.p.) prevedono che la pena sia aumentata qualora la violenza o la minaccia siano commesse con armi.

Tale circostanza consente di affermare come anche il meno grave reato previsto dall'art. 393 c.p. possa essere commesso con condotte particolarmente gravi (connesse all'utilizzo di armi) ossia con modalità che secondo il censurato orientamento dovrebbero qualificare le "modalità operative" come sproporzionate rispetto al fine perseguito, affermazione però giuridicamente non corretta perché contrastante con la stessa disposizione normativa.

In ordine al secondo criterio distintivo tra i due reati che, come detto sopra, seppur incidentalmente, consente di affermare un interessante principio in tema di concorso di persone nei delitti in esame, ha portato la Suprema Corte di Cassazione a rilevare come i delitti ex artt. 392-393 c.p. siano reati c.d. propri esclusivi, poiché la loro consumazione richiede l'intervento diretto del soggetto indicato dalla norma incriminatrice, ossia il soggetto che intende far valer il preteso diritto.

Ciò rileva in modo particolare nelle ipotesi di concorso di persone nei reati de quibus, in quanto se ad agire non fosse il soggetto che "vanta" il diritto, bensì un terzo da questi designato o incaricato, si configurerebbe il più grave delitto di estorsione. Sarà invece configurabile il concorso di persone nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni laddove ad agire sia il diretto interessato, seppur coadiuvato da un terzo "estraneo" al diritto, esistente o meno, fatto valere dall'agente.

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