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Convivente muore? Nessun diritto per la compagna sulla casa di abitazione (Cass. Civ. sez. III sent.

ll rapporto di convivenza non attribuisce al convivente superstite un titolo idoneo a possedere o detenere l'immobile adibito a casa familiare, né il diritto di abitazione ex art. 540 c.c. c 2, riservato al coniuge dalla legge ereditaria.

In caso di cessazione della convivenza per morte del convivente proprietario, si estingue anche il diritto avente ad oggetto la detenzione qualificata sull'immobile, così che nessuna pretesa può essere avanzata nei confronti degli eredi legittimi.

La Cassazione, con la sentenza del 27/04/2017 n. 10377, afferma che al momento del decesso del convivente proprietario, si estingue anche il diritto avente ad oggetto la detenzione qualificata sull'immobile di cui era titolare l’altro convivente, così che nessuna pretesa può essere avanzata dal convivente nei confronti degli eredi legittimi.

L’ex convivente, convenuta nel giudizio per la reintegrazione nel possesso, era stata condannata al rilascio dell'immobile detenuto sine titulo, di proprietà della figlia e del coniuge separato, in forza di successione legittima.

La donna aveva chiesto, in via riconvenzionale, che le eredi fossero condannate a risarcirle il danno ai sensi dell’art. 2041 c.c. per avere le stesse tratto vantaggio dall'assistenza medica e le cure prestate personalmente al malato fino al decesso, e per avere sostenuto alcune spese sanitarie.

I giudici di appello avevano accolto le domande delle eredi ritenendo che il prolungato rapporto di convivenza non attribuisse alla convivente superstite un titolo valido per possedere o detenere l'immobile, e che non si potesse estendere il diritto di abitazione ex art. 540 c.c. c. 2 riservato al coniuge.

La Corte territoriale aveva inoltre respinto la domanda della convenuta sostenendo che le cure prestate al compagno fino al decesso, integravano adempimento di obblighi morali nascenti dal rapporto di convivenza, e inoltre risultava che quest'ultimo avesse provveduto in proprio alle spese mediche e di assistenza.

L’ex convivente ricorre in Cassazione.

Nel ricorso si fa preliminarmente rilevare l’estensione crescente della tutela giuridica per la famiglia di fatto, che riceve tutela in base all'art. 2 Cost., in quanto formazione sociale.

In questa nozione, infatti, si è ricondotta la stabile convivenza tra due persone, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri (Corte Cost. n. 138 del 2010, Cass. Civ., 15/03/2012, n. 4184).

Proprio la giurisprudenza di legittimità, partendo dal rapporto di detenzione qualificata dell’abitazione del convivente, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare, ha affermato che l'estromissione violenta o clandestina dall'immobile, compiuta dal convivente proprietario in danno del convivente non proprietario, legittima quest'ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l'azione di spoglio (Cass., 21/03/2013, n. 7214).

Tale detenzione qualificata e autonoma legittimerebbe, secondo la ricorrente, il godimento del bene anche dopo il decesso del convivente.

La Corte, respingendo il ricorso, specifica che la detenzione qualificata del convivente non proprietario né possessore sul bene, è esercitabile e opponibile ai terzi, se è ancora esistente il titolo da cui deriva, e cioè in quanto perduri la convivenza.

In caso di cessazione della convivenza, si estingue anche il diritto avente ad oggetto la detenzione qualificata sull'immobile.

La relazione di fatto tra il bene e il convivente superstite, potrà ritenersi legittima soltanto se:

a) il convivente superstite sia stato istituito coerede o legatario dell'immobile per disposizione testamentaria; b) sia costituito un nuovo e diverso titolo di detenzione da parte degli eredi del convivente proprietario.

Nessun contrasto, con i principi giurisprudenziali emessi dalla Corte Costituzionale e con le nuove norme a tutela delle convivenze di fatto.

La Corte, afferma espressamente che la rilevanza sociale e giuridica che ha assunto la convivenza di fatto, non incide sul legittimo esercizio dei diritti spettanti ai terzi sul bene immobile.

Non è applicabile alla fattispecie in esame, la nuova L. 20/05/2016 n. 76 art. 1, c. 42, che attribuisce al convivente superstite il diritto di continuare ad abitare nella casa familiare, per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni.

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