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Niente tassazione IRPEF per i dipendenti delle Ambasciate (Comm. Prov.le Roma Sez 12 sent. 8481/23)

La 12ma sezione della Commissione Tributaria Provinciale di Roma, in procedimento introdotto dagli scriventi, ha confermato, con la sentenza n. 8481/2023 depositata in data 22/06/2023, che i dipendenti delle rappresentanze diplomatiche in Italia sono esenti da imposta e non soggiacciono alla regola generale, desumibile dagli artt. 2 e 3 t.u.i.r., che i soggetti residenti fiscalmente nel territorio dello Stato italiano sono tassati sul complesso dei loro redditi, ovunque prodotti.

Il ricorrente, cittadino argentino, era nel caso di specie dipendente presso l’Ambasciata Argentina presso il Quirinale, quindi dipendente di una rappresentanza diplomatica estera e, in quanto tale, aveva prestato a tutti gli effetti la propria attività lavorativa alle dipendenze di uno stato straniero e, nonostante ciò, gli era stata notificata dall’Agenzia delle Entrate una cartella di pagamento al fine di contrastare la ritenuta evasione fiscale e recuperare quanto possibile dai lavoratori al servizio di Ambasciate e Consolati, residenti in Italia, che abbiano percepito redditi di fonte italiana o estera, che sarebbero sottoposti a tassazione nel nostro paese e mai dichiarati.

L’Agenzia delle Entrate ha cercato il sostegno alla propria azione nel principio generale secondo cui tutti i redditi delle persone fisiche residenti o domiciliate in Italia, indipendentemente dalla nazionalità, sono assoggettate all’imposizione fiscale.

Il suddetto tentativo non ha tenuto però conto delle esenzioni fiscali, previste dalle Convenzioni internazionali, di cui godono i rappresentanti diplomatici, i funzionari e i dipendenti delle Ambasciate e dei Consolati.

La detta esenzione, tra l’altro, nel caso posto all'esame del Collegio era sempre stata considerata operante da tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, ivi compresa l’Ambasciata Argentina in Italia, che aveva sempre consegnato al ricorrente le buste paga con l’indicazione della menzionata esenzione e con l’indicazione che lo stipendio erogato al lavoratore era netto.

Anche alla luce di quanto sopra era evidente che, avallare la posizione dell’ente impositore, avrebbe determinato l'applicazione di regole fiscali totalmente discriminatorie tali da ritenere sussistente la facoltà, anziché l’obbligo per le Ambasciate (datori di lavoro), di operare come sostituti di imposta in assenza di qualsivoglia norma di diritto interno o internazionale che stabilisca ciò, determinando di fatto per i lavoratori una doppia tassazione dato che il loro stipendio viene già tassato alla fonte dall’Ambasciata straniera.

È proprio per tale motivo che nella sentenza in commento si afferma, seguendo quello che è un orientamento ormai più che consolidato (Cass. 19/01/2023 n. 1663; Cass. 14/03/2019 n. 7265; Cass. 25/06/2018 n. 16634), che i dipendenti delle rappresentanze diplomatiche in Italia sono esenti da imposta e non soggiacciono alla regola generale, desumibile dagli artt. 2 e 3 t.u.i.r., che i soggetti residenti fiscalmente nel territorio dello Stato italiano sono tassati sul complesso dei loro redditi, ovunque prodotti.

Altro profilo di criticità della questione in esame è rappresentato dal fatto che l'ente impositore ha operato prescindendo dallo statuto normativo del lavoratore dipendente e dalle regole fiscali in materia di sostituzione di imposta, dal momento che nel nostro ordinamento il versamento delle imposte in materia di reddito da lavoro dipendente, è specifico obbligo che grava sui datori di lavoro e non certo sui lavoratori.

Oltre a quanto sopra è comunque obbligo evidenziare come nel caso de quo trovi applicazione l’art. 49 della Convenzione di Vienna del 1963, ratificata dall’Italia con L. n. 804/67, le cui disposizioni sono chiare ed univoche: i funzionari e gli impiegati e le rispettive famiglie sono esenti da qualsiasi imposta o tassa, sia in Italia che in qualsiasi altro Paese firmatario della Convenzione, mentre i membri del personale di servizio sono esenti solo da quelle sui compensi.

Il legislatore italiano dal canto suo, con il D.P.R. n. 601/1973, si è adeguato soltanto in parte alle disposizioni della Convenzione di Vienna, prevedendo, all’art. 4, l’esenzione dall’IRPEF e dall’imposta locale solo per i redditi degli ambasciatori, dei diplomatici e degli impiegati (questi ultimi a condizione di reciprocità) degli Stati esteri accreditati in Italia che non siano cittadini italiani né italiani non appartenenti alla Repubblica.

Tale norma, come detto, rappresenta una deroga al principio generale sancito dagli artt. 2 e 3 del successivo D.P.R. 917/1986 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), secondo cui tutte le persone fisiche residenti o domiciliate nel nostro Paese, indipendentemente dalla nazionalità, sono assoggettate all’imposizione fiscale.

Ne deriva dunque che, per l’ordinamento italiano, sarebbero esentati dal pagamento dell’IRPEF e delle addizionali solamente i redditi degli agenti consolari, dei funzionari e dei dipendenti delle Ambasciate e dei Consolati privi della cittadinanza italiana, anche se residenti all’estero.

Avvallare tale conclusione, però, come affermato dalla Suprema Corte (Cass. 19/01/2023 n. 1663) andrebbe a determinare un evidente contrasto giuridico con il principio stabilito dall’art. 49 della Convenzione di Vienna che prevede la completa esenzione fiscale dei redditi dei dipendenti delle Ambasciate e dei Consolati, a prescindere dalla nazionalità e dal Paese di residenza.

Per dirimere il detto contrasto non si può tuttavia prescindere dall’applicazione degli artt. 10 e 11 della nostra carta costituzionale che prescrivono la supremazia delle norme previste nelle convenzioni internazionali sulle disposizioni nazionali con esse contrastanti e la conseguente inapplicabilità di queste ultime.

Ne deriva pertanto che tutte le eccezioni e restrizioni (cittadinanza, residenza, ecc.) previste nelle norme nazionali sopra richiamate vadano considerate comunque in contrasto con il principio della completa esenzione fiscale stabilita dall’art. 49 della Convenzione di Vienna e, di conseguenza, inapplicabili anche al caso deciso dalla commissione territoriale romana, come da costanti arresti in materia (v. ut sopra).

Prescindendo dalle diverse interpretazioni del comma 3 dell’art 49 della Convenzione di Vienna, in ogni caso qualsiasi deroga, prevista dalle leggi nazionali, al principio internazionale della completa esenzione fiscale per i membri delle Ambasciate e dei Consolati, va considerata, pertanto, illegittima o, comunque, inapplicabile.

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