Responsabilità dell'avvocato per difesa pregiudizievole: l'assenso del cliente non la esclud
La scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione professionale spetta esclusivamente all'avvocato. L'assenso o addirittura la sollecitazione da parte del cliente in relazione alla proposizione di mezzi difensivi a lui pregiudizievoli non esonera il difensore dalla responsabilità per negligenza professionale. Nello caso concreto, risponde dei danni provocati al cliente il difensore che chiama in causa un terzo nei cui confronti il diritto è prescritto. In questa sentenza la Corte di Cassazione affronta il delicato tema della responsabilità professionale del difensore, con particolare riferimento alla proposizione di domande o, in genere, di difese pregiudizievoli per il cliente. Nello specifico, la Suprema Corte, pur ribadendo la natura di obbligazione di mezzi della prestazione professionale, ritiene responsabile il professionista per aver richiesto la chiamata in causa di terzo nei cui confronti il diritto era prescritto, a prescindere dall’eventuale assenso preventivo del cliente; e ciò in quanto, sempre secondo la Cassazione, la scelta della strategia processuale spetta esclusivamente all’avvocato, il quale ha un dovere non solo di informazione verso il cliente, ma anche di dissuasione nei confronti di quest’ultimo.
Il fatto
La vicenda presa in esame dalla Corte di Cassazione ha ad oggetto la richiesta di risarcimento danni proposta da un ex cliente nei confronti del proprio precedente avvocato per negligenza professionale. In particolare, la responsabilità professionale dell’avvocato veniva individuata nel non aver aderito all’eccezione di incompetenza rivelatasi poi fondata e nell’aver chiamato in causa un terzo sapendo della possibile sopravvenuta prescrizione dei diritti nei confronti di quest’ultimo (prescrizione effettivamente eccepita e dichiarata in corso di causa).
La domanda
In primo grado, l’attore ha chiesto la condanna del professionista al risarcimento del danno procurato sulla base di due distinti motivi, ossia per non aver aderito all’eccezione di incompetenza rivelatasi poi fondata al termine del giudizio e per aver chiamato in causa un terzo nonostante la sopravvenuta prescrizione dei diritti nei confronti di quest’ultimo. In primo grado, il Tribunale ha respinto la domanda. La sentenza è stata poi riformata in secondo grado; la Corte di Appello (come si ricava implicitamente dalla sentenza qui commentata) ha ritenuto fondata la seconda doglianza e ha quindi condannato il professionista al risarcimento del danno. La sentenza di appello è stata poi impugnata per cassazione dal professionista sulla base di tra distinti motivi, tutti imperniati sulla violazione degli artt. 1176 e 2236 c.c. e su difetti motivazionali.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione respinge tutti e tre i motivi confermando integralmente la sentenza di secondo grado; specificamente conferma la responsabilità del professionista per aver chiamato in causa un terzo nella consapevolezza della possibile sopravvenuta prescrizione dei diritti nei suoi confronti. Come si evince implicitamente dalla motivazione della sentenza, la Corte territoriale di secondo grado aveva escluso la responsabilità del professionista con riferimento alla asserita mancata adesione all’eccezione di incompetenza (questione che infatti non è stata dedotta in cassazione). Di particolare interesse è la motivazione con cui la Corte di Cassazione ha respinto il primo motivo di ricorso. Gli altri due motivi, infatti, benché formalmente rigettati, sono stati sostanzialmente dichiarati inammissibili per ragioni di rito: il secondo per non essere stato proposto nelle forme dell’art. 360, n. 4, c.p.c. (trattandosi di prospettata violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato) e il terzo per violazione del principio di autosufficienza e comunque per mancata individuazione delle ragioni di contraddittorietà della motivazione.
Come detto, è il primo motivo che merita particolare attenzione. La Corte di Cassazione, pur ribandendo la qualificazione dell’attività difensiva come mera obbligazione di mezzi, conferma l’orientamento giurisprudenziale emerso in alcune pronunce passate secondo il quale l’assenso del cliente non esclude la responsabilità del professionista derivante dalla proposizione di mezzi difensivi potenzialmente pregiudizievoli per il cliente stesso. In particolare, la Suprema Corte ribadisce che la scelta dei mezzi tecnici per lo svolgimento dell’attività difensiva compete esclusivamente al difensore, il quale, quindi, ha un preciso dovere non solo di informazione nei confronti del cliente, ma anche di dissuasione nei confronti di quest’ultimo.
In astratto la decisione appare condivisibile; analizzata più in concreto, tuttavia, solleva alcune perplessità. In particolare, nel precedente giurisprudenziale citato nella pronuncia qui annotata la responsabilità del professionista è stata riconosciuta per aver proposto una domanda a un giudice palesemente incompetente (Cass. n. 20869/2004). Tale ragionamento non pare estensibile de plano ai diritti prescritti, i quali hanno comunque una rilevanza giuridica; e ciò sia perché la prescrizione deve necessariamente essere eccepita dalla parte interessata sia perché il pagamento dell’obbligazione prescritta configura comunque un’obbligazione naturale (ai sensi dell’art. 2054 c.c.). Ma soprattutto appare sorprendente il mancato riferimento a un’altra pronuncia in tema di responsabilità professionale, sempre della Corte di Cassazione e di poco precedente a quella appena menzionata, proprio con riferimento a diritti prescritti (Cass. n. 16023/2002). In quest’ultima pronuncia la Suprema Corte aveva riconosciuto la responsabilità del professionista per non aver segnalato, prima della proposizione della controversia, la possibile prescrizione dei diritti. Ebbene, pur non occupandosi espressamente di questa ipotesi, tale pronuncia poteva essere letta nel senso di esonerare da responsabilità il difensore che, prima della proposizione di un’attività difensiva potenzialmente pregiudizievole (come appunto la proposizione di domanda prescritta), avesse ottenuto un’esplicita indicazione in tal senso dal cliente. Del resto, simili principi possono certamente ricavarsi anche dalla giurisprudenza in tema di consenso informato per responsabilità medica. In sostanza, se è certamente condivisibile il riconoscimento al solo difensore della scelta della strategia processuale, appare discutibile invece l’equiparazione della proposizione di domanda avente ad oggetto un diritto prescritto (come detto dotato di una perdurante rilevanza giuridica) con altre iniziative pregiudizievoli (in quanto ab origine infondate). La decisione in sintesi La scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione professionale spetta esclusivamente all’avvocato. Pertanto, nonostante l’assenso del cliente, sussiste ugualmente la responsabilità professionale del difensore che abbia proposto difese pregiudizievoli per la parte assistita.
Esito della domanda:
Rigetta il ricorso, conferma la sentenza emessa dalla Corte di Appello e condanna al pagamento delle spese di lite