Separazione e negoziazione assistita: cosa accade in caso di parere negativo del PM? (Trib. Termini
Due coniugi, con figli minori, raggiungevano l’accordo a seguito di negoziazione assistita per la soluzione consensuale della loro separazione personale.
La fattispecie è disciplinata dall’art. 6 c. 2 del D.L. 12.09.2014, n. 132, convertito nella Legge 10.11.2014, n. 162, il quale, in presenza di figli minori (o di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti), prevede quanto segue:
l'accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita deve essere trasmesso entro il termine di dieci giorni al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente;
il PM: a) quando ritiene che l'accordo risponde all'interesse dei figli, lo autorizza;b) quando, invece, ritiene che l'accordo, che riguardi figli minori (o figli maggiorenni incapaci e portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti), non risponda all’interesse dei figli, lo deve trasmettere, entro cinque giorni, al presidente del tribunale competente, che fissa, entro trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo.
La pronuncia in commento evidenzia al riguardo come la formulazione della richiamata normativa presenti “indubbie carenze ed incompletezze”; ciò, in particolare, con riferimento alle seguenti tematiche:
1. tipo di procedimento che si instaura davanti al presidente del Tribunale;
2. poteri di verifica e di valutazione in ordine alla conformità o meno all'interesse dei figli delle disposizioni convenute;
3. facoltà di modificare, integrare o correggere le condizioni dell'accordo con riguardo ai figli;
4. natura del provvedimento che conclude la fase conseguente al diniego da parte del P.M. dell'autorizzazione richiesta.
1. Tipo di procedimento che si instaura davanti al presidente del Tribunale
Il giudicante ritiene, innanzitutto, che il procedimento che si instaura, a seguito della trasmissione dell'accordo da parte del P.M. ed alla sua denegata autorizzazione, ha natura giurisdizionale ed è assimilabile ai procedimenti di volontaria giurisdizione.
Detto procedimento, in particolare:
non ha ad oggetto una controversia tra le parti, bensì un accordo consensualmente raggiunto;
si svolge nelle forme dei procedimenti in camera di consiglio;
si conclude, sentite le parti e, quindi, nel contraddittorio delle stesse, con ordinanza.
2. Poteri di verifica e di valutazione in ordine alla conformità o meno all'interesse dei figli delle disposizioni convenute
Il giudice osserva che il parere del P.M. è obbligatorio ma non vincolante.
Pertanto, il presidente del tribunale ben può, in difformità al parere del P.M., autorizzare l'accordo.
Nel procedimento che si instaura davanti al presidente del Tribunale, dunque, il giudicante può procedere a rivalutare le condizioni dell’accordo, nonché le ragioni addotte a sostegno dello stesso e la documentazione allegata, ravvisando eventualmente l'adeguatezza delle condizioni, considerando sufficientemente salvaguardati gli interessi della prole.
3. Facoltà di modificare, integrare o correggere le condizioni dell'accordo con riguardo ai figli
In sede di comparizione davanti al presidente del Tribunale, spiega la pronuncia in questione, appare ammissibile che i coniugi possano integrare o modificare le condizioni dell'accordo con riguardo ai figli; e ciò (proprio per sopperire a quelle inadeguatezze rilevate dal P.M.):
di propria iniziativa;
su indicazioni o sollecitazioni d'ufficio.
4. Natura del provvedimento che conclude la fase conseguente al diniego da parte del P.M. dell'autorizzazione richiesta
Il provvedimento conclusivo:
è da emettersi senza ritardo;
consiste in un provvedimento autorizzatorio o nel diniego dell'autorizzazione (e non in un provvedimento di omologazione dell'accordo da parte del Tribunale, come nel procedimento ordinario di separazione consensuale)
Ciò posto, il giudicante osserva quanto segue:
non appare ammissibile, in caso di diniego dell'autorizzazione, una possibilità di trasformazione di tale rito, seppure anomalo, in quello proprio della separazione consensuale ex art. 711 c.p.c.;
non va escluso l'eventuale rigetto della richiesta autorizzazione;
non va esclusa la proponibilità di un successivo autonomo ricorso per separazione consensuale.
Nel caso di specie, il P.M. ha espresso parere ostativo all’autorizzazione, ritenendo che l'accordo non rispondesse all'interesse dei figli.
Il Giudice, invece, considera le condizioni dell'accordo raggiunto a seguito della negoziazione assistita sufficientemente congrue ed idonee a tutelare gli interessi, di natura economica, della prole e, pertanto, autorizza detto accordo.
Difatti il P.M. aveva espresso parere ostativo all’autorizzazione, ritenendo che non rispondesse all'interesse dei figli la pattuizione relativa all'assegno di mantenimento di soli € 800,00 mensili, non avendo però complessivamente valutato – spiega l’ordinanza in commento – tutti termini economici dell'accordo (che, infatti, prevedeva nella specie anche altri obblighi economici a beneficio dei figli).
In tema di negoziazione assistita c.d. familiare, in caso di figli minori, il procedimento che si instaura innanzi al presidente del tribunale a seguito della trasmissione dell'accordo da parte del P.M. ed alla sua denegata autorizzazione, ha natura giurisdizionale, è assimilabile ai procedimenti di volontaria giurisdizione e si conclude, nel contraddittorio delle parti e senza ritardo, con ordinanza. Il parere del P.M. è obbligatorio ma non vincolante, mentre i coniugi possano integrare o modificare le condizioni dell'accordo con riguardo ai figli: il provvedimento conclusivo consiste in un provvedimento autorizzatorio o nel diniego dell'autorizzazione (e non in un provvedimento di omologazione dell'accordo). Inoltre, non appare ammissibile, in caso di diniego dell'autorizzazione, una possibilità di trasformazione di tale rito in quello proprio della separazione consensuale ex art. 711 c.p.c., mentre non va esclusa la proponibilità di un successivo autonomo ricorso per separazione consensuale.