Quale parte deve sopportare le spese del terzo in garanzia? (Cass. Civ. sez. II ord. 17/09/2019 n. 2
Le spese del giudizio sostenute dal terzo chiamato in garanzia devono essere poste a carico di chi, rimasto soccombente, ne ha provocato e giustificato l’intervento in causa.
Ciò vale anche se l’attore soccombente non ha formulato alcuna domanda nei confronti del terzo e salva unicamente l’ipotesi in cui l’iniziativa del chiamante si sia rivelata palesemente arbitraria.
Questo è quanto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 17/09/2019 n. 23123, che ha ribadito l’applicazione del principio di causalità in punto di regolamentazione delle spese di lite ex art. 91 c.p.c.-
Un cliente proponeva opposizione al decreto ingiuntivo con cui il Tribunale di Milano, su ricorso del proprio avvocato, gli ingiungeva il pagamento di una somma a titolo di compensi per prestazioni professionali espletate dal legale in suo favore.
A sostegno dell’opposizione il cliente lamentava l’eccessività delle somme pretese e la loro parziale duplicazione, chiedendo in via riconvenzionale il risarcimento dei danni per colpa professionale del legale, cui addebitava il rigetto di una domanda giudiziale.
La professionista resisteva in giudizio e per l’ipotesi di accoglimento della domanda riconvenzionale chiamava in garanzia la compagnia con cui era assicurata per la responsabilità civile.
Il Tribunale di Milano accoglieva solo parzialmente l’opposizione e, revocato il decreto ingiuntivo, condannava il cliente al pagamento di una minor somma in favore dell’avvocato. Rigettava anche la domanda riconvenzionale, ponendo a carico del cliente sia le spese di lite della parte opposta, sia quelle sostenute dalla terza chiamata in garanzia.
La decisione di primo grado veniva parzialmente riformata dalla Corte d’Appello di Milano, che riduceva ulteriormente la somma posta a carico del cliente e condannava l’avvocato a rifondere alla terza chiamata le spese del giudizio di primo grado, compensando integralmente tra le parti quelle del giudizio d’appello.
La Corte territoriale motivava la pronuncia alla luce del costante orientamento di legittimità, secondo cui le spese sostenute dal terzo chiamato sono poste a carico del chiamante solo se la chiamata in causa è palesemente arbitraria.
Nel caso di specie riteneva che la mancata replica dell’assicurata all’eccezione di omesso pagamento del premio sollevata dalla compagnia fosse circostanza sufficiente a confermare l’arbitrarietà della chiamata in causa del terzo e dunque l’impossibilità di porre le relative spese a carico dell’opponente soccombente.
Contro la sentenza d’appello l’opponente proponeva ricorso per cassazione in via principale, mentre il legale la impugnava con ricorso incidentale.
Quest’ultima contestava in particolare la condanna alla rifusione delle spese del giudizio di primo grado in favore dell’assicurazione, evidenziando che di tali spese avrebbe dovuto farsi carico l’originario opponente, stante il rigetto della domanda riconvenzionale proposta nei propri confronti.
Esaminando il ricorso incidentale la Corte ribadisce due fondamentali principi di diritto in materia di chiamata del terzo in garanzia.
In primo luogo rammenta che la domanda di garanzia è funzionale a deviare sul terzo le conseguenze economiche di un’eventuale soccombenza del chiamante. Come tale presuppone il necessario accoglimento della domanda principale: in caso contrario, l’esame della domanda di garanzia resterebbe infatti inevitabilmente assorbito.
In secondo luogo la Corte osserva che anche in materia di regolamentazione delle spese di lite trova applicazione il principio di causalità, cui consegue che in caso di rigetto della domanda principale le spese processuali sostenute dal terzo saranno poste a carico di chi, rimasto soccombente, ha provocato e giustificato la chiamata in garanzia.
Ciò vale anche se l’attore soccombente non ha formulato alcuna domanda nei confronti del terzo e con la sola eccezione di chiamata in causa palesemente arbitraria (cfr., fra le tante, Cass. n. 23552/11; Cass. n. 19181/03; Cass. n. 8363/10).
Dal combinato disposto di tali principi si ricava che se la domanda di garanzia è assorbita (per rigetto della pretesa azionata nei confronti del chiamante) sarà il giudice a doverne valutare la palese arbitrarietà o meno, ai fini dell’imputazione (al chiamante o al soccombente) delle spese sostenute dal terzo chiamato.
Nel caso di specie gli Ermellini osservano che pur avendo correttamente premesso il secondo dei richiamati principi di diritto, la Corte territoriale lo ha tuttavia applicato in maniera incoerente.
Anziché rilevare la palese arbitrarietà della chiamata in garanzia si è infatti basata su circostanze fattuali (difetto di contestazione dell’eccezione da parte della chiamante e mancata comunicazione all’assicurazione del fatturato conseguito nell’anno precedente) da cui ha fatto discendere l’assenza di copertura assicurativa della professionista e la conseguente declaratoria di infondatezza della domanda proposta.
Una valutazione a cui la Corte d’Appello è pervenuta nonostante avesse precedentemente rilevato che la compagnia non aveva soddisfatto l’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c., omettendo infatti di produrre in giudizio le condizioni generali di assicurazione poste alla base dell’eccezione sollevata.
Con un automatismo non consentito dalla legge processuale la Corte territoriale ha dato quindi per ammesso un determinato fatto storico (il tardivo pagamento del premio) ma anche il successivo giudizio critico (il difetto di copertura assicurativa), valutando la domanda di garanzia in base a norme (gli artt. 115, c. 1 c.p.c. e 2697 c.c.) non correttamente applicate e incompatibili con la delibazione che le era richiesta ai fini della regolamentazione delle spese.
Muovendo da tali considerazioni la Corte ha quindi cassato la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, rinviando ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano per decidere la controversia e provvedere anche sulle spese del giudizio di cassazione.