Indennizzo diretto: la Cassazione delinea i limiti alle spese legali risarcibili (Cass. Civ. sez. II
Le spese legali necessarie al danneggiato da sinistro stradale, vanno risarcite se necessarie alla tutela dei propri diritti e va pertanto disapplicata la norma regolamentare di cui all’art. 9 comma 2 del d.p.r. 18.07.2006 n. 254, in quanto nulla per contrasto con l’art. 24 della Costituzione, è quanto stabilito da Cass. 11154/2015.
La suddetta norma prevede infatti che in caso di risarcimento diretto “nel caso in cui la somma offerta dall’impresa di assicurazione sia accettata dal danneggiato, sugli importi corrisposti non sono dovuti compensi per la consulenza o assistenza professionale di cui si sia avvalso il danneggiato diversa da quella medico legale per i danni alla persona”.
I dubbi di costituzionalità della disposizione sono stati sollevati davanti alla Corte Costituzionale, ma non sono stati da questa esaminati, atteso che trattasi di norma regolamentare, su cui non si esplica il potere della Corte (Corte Cost. 28.05.2010 n. 192), ma vengono risolti dalla sentenza in esame, che boccia la legittimità della norma e ne stabilisce la nullità, per contrasto col principio costituzionale di difesa.
Anzitutto la sentenza ricerca una interpretazione orientata costituzionalmente della norma, ritenendo comunque di vederla laddove l’azione per il risarcimento diretto non sostituisce, ma si aggiunge alla tutela generale azionabile verso il responsabile del danno, ma il provvedimento va oltre. Esaminando l’origine della disposizione, si rinviene l’art. 150, 1° co., let. D), cod. ass., il qual delega il governo a stabilire “i limiti e le condizioni di risarcibilità dei danni accessori”, tale norma viene criticata sul piano dogmatico, essendo nuova (e sconosciuta alla dottrina) la categoria dei danni accessori (i danni o ci sono o non ci sono), e sul piano pratico. La norma regolamentare chiarisce che i danni accessori sono quelli relative a spese legali e peritali, esclusa la perizia medico-legale, unica spesa riconosciuta, ma desta “varie perplessità”. Essa si scontra con il principio già riconosciuto dalla Corte nomofilattica e costituzionalmente garantito di farsi assistere da un legale di fiducia e nel caso di accordo bonario di farsi riconoscere tale voce di danno, mentre nel caso di soluzione giudiziale il giudice può riconoscere tali spese, come si desume a contrariis dal potere di esclusione di quelle superflue ex art. 92 I co c.p.c. . Tale norma è poi mal formulata in quanto prevede la non ripetibilità del risarcimento dei danni accessori (legali e peritali) laddove vi sia l’accettazione della somma offerta a titolo di risarcimento e dunque è evidente che in caso di intervento del legale non vi sarà mai accettazione della somma, escludendo l’applicazione della disposizione regolamentare.
La Corte, infine, ritiene che l’unico discrimine per la risarcibilità delle somme spese a titolo di consulenza legale e peritale è, come per ogni altro danno, il nesso di causalità con il fatto, ossia con il sinistro stradale, che deriva dalla necessità delle spese in relazione alla complessità del caso e/o dalla mancata assistenza della propria assicurazione, come prevista dalle norme del codice delle assicurazioni.
In definitiva la norma è incostituzionale, in quanto limitativa del diritto di difesa, laddove tali spese si rendano necessarie, e va quindi disapplicata dal giudice ordinario.
Nel caso di specie il Giudice di Pace aveva respinto la richiesta delle spese legali stragiudiziali, applicando pedissequamente la norma regolamentare, accolte invece dal tribunale in sede di appello; la Corte rinvia la causa allo stesso giudice in diversa composizione, premessi i principi suddetti, atteso che non era stata dimostrata la necessità delle spese legali e data la contestazione della improponibilità della controversia per aver agito senza il rispetto dello spatium deliberandi di 60 giorni, questione rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento.