Il coniuge nasconde i suoi redditi? Il giudice può avvalersi di presunzioni per quantificare il mant
Se il coniuge non fa chiarezza sulla sua condizione lavorativa e sulle risorse economiche di cui dispone, il giudice può avvalersi di presunzioni per quantificare l'assegno di mantenimento.
Lo precisa la sesta sezione civile della Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 17812/2015, sul ricorso presentato da un ex marito avverso la sentenza della Corte d'Appello di Milano che aveva posto a suo carico l'obbligo di corrispondere un assegno di mantenimento per la moglie di importo pari a € 200,00 mensili.
Gli Ermellini, nel condividere la decisione del giudice di merito, evidenziano preliminarmente come consolidata giurisprudenza ritenga che l'assegno per il coniuge, anche in sede di separazione, debba tendere al mantenimento del tenore di vita da questo goduto durante la convivenza matrimoniale e, tuttavia, indice di tale tenore di vita potrà anche essere l'attuale disparità di posizioni economiche tra i coniugi.
L'uomo, ha omesso di fare chiarezza circa la sua condizione lavorativa, ma in base all'ultima dichiarazione dei redditi da lui presentata, emergono diversi elementi che fanno presumere che egli dispone di risorse economiche: il marito, ad esempio, afferma di pagare un canone di locazione pari a € 400,00, di aver ceduto un'attività di tintoria, di svolgere intensa attività lavorativa nel campo dei trasporti.
Il problema che emerge nel caso di specie non è relativo all'onere della prova sul diritto al mantenimento, che compete necessariamente al beneficiario: il giudice a quo non pone in discussione tale principio, ma ricorre ad alcune presunzioni che devono considerarsi ammissibili anche in ambito familiare, valorizzando alcune ammissioni dello stesso ricorrente, evidenziando altresi i limiti della sua dichiarazione dei redditi che egli ha sicuramente l'obbligo di depositare.
Non può, in aggiunta, valutarsi sufficiente al sostentamento della moglie, il modesto incasso di "lavoretti artigianali" dalla stessa realizzati, considerando le difficoltà della donna, non più giovane, ai fini di un effettivo reinserimento nel mercato del lavoro e avendo ella cessato l'attività presso la lavanderia del marito dalla nascita della secondogenita.
L'assegno, anzi, è limitato a 200,00 euro tenuto conto che la donna vive con i figli in una casa di proprietà dei genitori.
Il ricorso va dunque rigettato ed il ricorrente condannato alle spese di giudizio.