Intervento chirurgico necessario non esclude la violazione del diritto al consenso informato (Cass.
Il caso
Una paziente si era sottoposta ad un intervento chirurgico per l’asportazione di una cisti ovarica. Durante l’esecuzione dell’operazione veniva rilevata, sulla base di un esame istologico, la presenza di un adenocarcinoma; circostanza, questa, che aveva indotto il chirurgo ad eseguire una “laparotomia, una isterectomia totale, una annessiectomia bilaterale, una appendicectomia ed omentectomia”.
In sostanza, un intervento radicalmente diverso da quello programmato presso la struttura sanitaria e per il quale era stato prestato il relativo consenso.
Successivamente, la donna si era recata in Francia presso altro nosocomio dove le veniva posta la diversa diagnosi di tumore benigno. Di qui la richiesta risarcitoria avanzata nei confronti della struttura ospedaliera, dell’equipe chirurgica, nonché degli altri sanitari che avevano eseguito gli esami istologici per i gravissimi danni a suo dire sofferti per i suddetti interventi demolitori, non assentiti.
Il Tribunale adito, in aderenza alle risultanze peritali, rigettava la domanda escludendo sia profili di responsabilità professionale dei vari convenuti che l’asserita violazione dell’obbligo del consenso informato.
La consulenza tecnica d’ufficio aveva, infatti, accertato che anche il nosocomio d’oltralpe aveva, in realtà, diagnosticato un tumore maligno, sebbene di natura diversa; patologia, questa, che avrebbe comunque giustificato l’estensione dell’intervento come sopra concretizzata.
La sentenza di rigetto veniva confermata in sede di gravame, ivi assumendosi ad esimente di responsabilità il carattere dovuto e risolutivo, per la salute dell’attrice, degli ulteriori interventi eseguiti.
Gli orientamenti della Corte
Prima di procedere all’esame della sentenza annotata si rende opportuna una breve disamina sulle posizioni assunte dalla giurisprudenza in merito alle conseguenze derivanti dal deficit informativo nei confronti del paziente.
Secondo un primo orientamento, la violazione dell’obbligo informativo determinava la responsabilità del medico e/o della struttura sanitaria solo in caso di insuccesso terapeutico da cui l’aggravamento delle condizioni del paziente o l’insorgenza di nuove patologie (ex multis Cass. n. 5444/2006; Cass. n. 14638/2004; Cass. n.9374/97).
L’oggetto del risarcimento, in tali casi, non era rappresentato dall’inadempimento in sé dell’obbligo di informazione quanto, piuttosto, dalla sola lesione dell’integrità psico-fisica del paziente, individuata quale danno conseguenza dell’omissione in parola.
Da qui l’ovvio corollario che, in mancanza di “un rapporto causale tra l’aggravamento delle condizioni del paziente o l’insorgenza di nuove patologie e l’intervento sanitario” non poteva “darsi luogo ad alcun risarcimento del danno” (così Cass. n. 14638/04); non assumendo, pertanto, rilievo alcuno la correttezza o meno del trattamento non assentito (in tal senso Cass. n. 5444/06).
In particolare, l’antecedente causale del suddetto aggravamento, determinativo della responsabilità de qua, era semplicemente rappresentato dall’atto medico non assentito, a nulla rilevando l’eventuale imperizia, negligenza o imprudenza del sanitario.
Facendo applicazione di tali coordinate ermeneutiche si arrivava a ritenere – come d’altronde sostenuto dalla Corte di Appello nella sentenza riformata dalla pronuncia in commento – che nei casi in cui l’atto medico non avesse determinato un peggioramento dello stato di salute del paziente non vi sarebbe stato alcun danno risarcibile.
I Giudici di legittimità, in seguito, rivedendo le proprie posizioni, sono giunti a ritenere che in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito in base alle leges artis, dal quale siano tuttavia derivate delle conseguenze dannose per la salute del paziente, il medico – che non ha assolto al proprio obbligo informativo - potrà essere chiamato a rispondere per i suddetti danni solo se il paziente dimostri, anche in via presuntiva, che avrebbe rifiutato l’intervento ove compiutamente informato (in tal senso Cass. 2847/10; Cass. 72371/11; Cass. 20984/12).
Ulteriore declinazione del suddetto principio è rappresentata dalla risarcibilità del danno derivato dalla sola violazione del diritto all’autodeterminazione, anche in assenza di lesioni alla salute (Cass. 2847/10; Cass. 11950/13).
La decisione della Corte
La pronuncia in commento, in riforma della sentenza impugnata, ribadisce - con ampi richiami alla primigenia sentenza n. 2847/10 – l’orientamento da ultimo espresso dai Giudici di Piazza Cavour, così riconoscendo il danno risarcibile anche in caso di intervento correttamente eseguito che abbia determinato la guarigione del paziente.
Il tutto previa disamina – con evocazione di un “danno-evento” che, a partire dalle ormai note sentenze “gemelle” (Cass. nn. 8827 e 8828 del 2003), sembrava definitivamente abbandonato – della struttura dell’illecito omissivo in parola e conseguente enucleazione dei vari danni ad esso correlati.
Secondo la Corte, l’informazione sull’atto medico da eseguire avrebbe posto la paziente nella condizione di poter decidere se assentire o meno all’intervento.
Tra i contenuti possibili di tale potere vi può essere sia la scelta di rimanere nelle condizioni che, ritenute pregiudizievoli dal medico, imporrebbero l’intervento (se del caso anche usque ad vitae supremum exitum); sia quella di determinarsi successivamente e sia, soprattutto, quella di rivolgersi altrove, cioè ad altro medico o ad altra struttura sanitaria.
La preclusione in ordine alla scelta delle suddette opzioni integra il danno conseguenza, poiché si “concreta nella privazione della libertà del paziente di autodeterminarsi circa la sua persona fisica”.
Ulteriori danni sono, poi, rappresentati dalla sofferenza e dalla contrazione della libertà di disporre di se stesso, psichicamente e fisicamente, patite dal paziente in ragione dell’eseguito intervento e nella relativa convalescenza; nonché dal conseguente pregiudizio subito per effetto dell’attività chirurgica demolitoria che abbia eliminato, sebbene a fini terapeutici, parti del corpo e le correlate funzionalità organiche.
Non solo.
Sempre secondo gli Ermellini, la paziente avrebbe potuto rivolgersi altrove “qualora si rilevi che sarebbe stata possibile in relazione alla patologia l’esecuzione di altro intervento vuoi meno demolitorio vuoi anche solo determinativo di minore sofferenza”, in ciò concretizzandosi un danno conseguenza sotto il profilo della lesione alla salute.
Sostanzialmente, il beneficio tratto dall’esecuzione dell’intervento – anche se fosse stato l’unico possibile, oltre che risolutivo della patologia diagnosticata – non potrebbe mai compensare la perdita della possibilità di eseguirne uno meno demolitorio e/o uno meno gravido di sofferenze.
Sulla scia di tale assunto la Corte ha, pertanto, individuato l’erroneità della sentenza impugnata nell’asserita utilità dell’operazione eseguita, ivi assurta a scriminante capace di elidere la lesione del diritto al consenso informato.
Né varrebbe invocare, in contrario, una presunta prevalenza del bene “vita” o del bene “salute” ove comparato ad altri interessi, giacché tale valutazione avrebbe rilievo solo in presenza di interessi confliggenti facenti capo a soggetti diversi.
La prospettazione della Corte territoriale non potrebbe, d’altronde, apparire corretta neppure ove ritenuta espressiva del principio della c.d. compensatio lucri cum damno (applicabile, come noto, quando sia il pregiudizio che l’incremento rinvengano la propria genesi nel medesimo fatto illecito), stante la diversità dei beni tutelati (libertà di autodeterminazione in riferimento al consenso informato e salute in relazione all’esecuzione dell’attività medica).
Se i beni tutelati sono differenti – chiarisce la Corte - la compensazione non potrà operare e l’esito favorevole sulla salute verrà in rilievo ai soli fini del quantum risarcitorio eventualmente dovuto a seguito della lesione del diritto al consenso informato.
Situazione, evidentemente, diversa laddove l’intervento non sia stato risolutivo o sia stato in parte inutilmente demolitorio o addirittura dannoso ed inutile. In questi casi, essendo leso anche il diritto alla salute del paziente, l’omissione informativa verrà a configurarsi quale ulteriore danno conseguenza e la stima non potrà che essere diversa.