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Ricorso inammissibile per manifesta infondatezza: no alla particolare tenuità del fatto (Cass. pen.

Non può applicarsi la particolare causa di esclusione della punibilità della particolare tenuità del fatto nel caso di ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. E' quanto emerge dalla sentenza della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione n. 34932.

Il caso vedeva l'imputato essere ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 10-ter, d.lgs. 74/2000, in quanto, in qualità di legale rappresentante di una ditta individuale, ometteva di versare l'imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione dei redditi dell'anno 2006.

Ciò che si domandano i giudici di legittimità è se, a fronte di un ricorso da dichiarare inammissibile per manifesta infondatezza, possa essere presa in considerazione la questione circa la non punibilità del fatto per particolare tenuità, ex art. 131-bis c.p.

Secondo costante giurisprudenza, un ricorso inammissibile è inidoneo a costituire il rapporto giuridico processuale di impugnazione e preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p., compresa la prescrizione (Cass. pen., Sez. Un., 22 novembre 2000, n. 32; Cass. pen., Sez. Un., sentenza 22 marzo-22 giugno 2005, n. 23428; Cass. pen., Sez. Un., sentenza 28 febbraio-15 maggio 2008, n. 19601 e Cass. pen., Sez. II, 8 maggio 2013, n. 28848).

Ciò a meno di non voler considerare – ma il collegio ritiene che non si verta in tale ipotesi – che il nuovo istituto introduca una forma di abolitio criminis come tale rilevabile anche davanti al giudice dell'esecuzione ex art. 673 c.p.p.”. Ostacoli alla revocabilità della sentenza per abolitio criminis, quale conseguenza della sopravvenuta esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, sembrano emergere sia dall'art. 2 c. 2, c.p., che dall'art. 673 c. 1 c.p.p.-

Mentre la prima norma dispone che nessuno possa essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato e se vi è stata la condanna ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali, la seconda disposizione afferma che nel caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, il giudice dell'esecuzione revoca la sentenza di condanna o il decreto penale dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti.

Orbene, qualora ricorrano i presupposti dell'istituto di cui all'art. 131-bis c.p., il fatto è pur sempre qualificabile come reato.

Dal punto di vista dell'elemento soggettivo, gli ermellini precisano che il reato in commento non richiede il dolo specifico, ovvero la volontà dell'evasione fiscale, essendo sufficiente il dolo generico, posto che ciò che rileva è la consapevolezza dell'imputato di non operare un versamento che sappia essere dovuto.

Infatti, mentre molte delle condotte penalmente sanzionate dal d.lgs. 10/03/2000, n. 74, richiedono che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte, tale direzione della volontà illecita non emerge in alcun modo dal testo dell'art. 10-ter.

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