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Alcoltest e assunzione di farmaci: non basta la ricetta medica per salvarsi (Cass. pen. sez. IV sent

La Cassazione penale, con sentenza 36887/2015, statuisce che “in tema di guida in stato di ebbrezza, l'esito positivo dell'alcoltest costituisce prova della sussistenza dello stato di ebbrezza ed è onere dell'imputato fornire eventualmente la prova contraria a tale accertamento dimostrando vizi od errori di strumentazione o di metodo nell'esecuzione dell'aspirazione, non essendo sufficiente allegare la circostanza relativa all'assunzione di farmaci idonei ad influenzare l'esito dei test, quando tale affermazione sia sfornita di riscontri probatori”.

Il caso dell’ingestione di sostanze chimiche in grado di interferire con i meccanismi di assunzione dell’alcol non è nuovo. Se ne danno facilmente alcuni riscontri giurisprudenziali che collocano il tema nel dibattito sulla connotazione più o meno formale/sostanziale dei parametri richiesti per l’accertamento dello stato di ebbrezza alcolica. Oggi la Cassazione puntualizza che è necessario un maggior e miglior argomentare dell’imputato, nel rispondere all’accusa mossagli, per ottenere un provvedimento di proscioglimento che sia fondato sulla causa dello stato di ebbrezza, asseritamente differente dall’ingestione di bevande alcoliche.

Innegabilmente il principio impatta sullo stato della materia sia per quel che dice espressamente (l’esito positivo dell’alcoltest…) sia per quello che si può agevolmente dedurre dal tenore dell’argomentazione sviluppata: l’imputato può fornire riscontri probatori sull’esistenza di decorsi causali differenti a monte dell’esito positivo dell’alcoltest. Tali decorsi concorrenti, in particolare, vengono circostanziati con riferimento a fitofarmaci. L’ipotesi difensiva è che un certificato medico che ne attesti l’impiego possa collegare a questi prodotti chimici, piuttosto che all’alcol, l’esito positivo dell’alcoltest. L’accusa, e con essa i Giudici, opinano diversamente: dell’effetto dei fitofarmaci sull’accertamento eseguito occorre una dimostrazione diretta e un riscontro probatorio più significativo.

Come che sia, la massima integra un percorso di presunzione della causalità dell’ebbrezza alcolica, fondato sull’esito positivo dell’alcoltest, ed un percorso di rimozione della presunzione di connessione causale, a disposizione dell’imputato.

Da un certo punto di vista, l’impasse è evidente: ognuno può prendere da questa massima quel che più preferisce. In concreto, pubblica accusa e parte civile valorizzeranno l’alcoltest come fonte di prova, in grado di supportare l’addebito; la difesa coglierà la possibilità, ad essa riconosciuta, di rimuovere l’indicazione probatoria fornita dallo strumento.

Il percorso applicativo dell’art. 186 C.d.S. si conferma dunque terreno di manovra per le parti del giudizio penale; non abbastanza da riportare in auge un interrogativo per la gran parte superato (lo stato d’ebbrezza, che il c. 1 pone a criterio fondante della responsabilità per il reato, va dedotto dall’indagine strumentale o aliunde?). Nondimeno, la Cassazione indica quale fonte di accertamento il c.d. etilometro; ma l’indicazione non è invincibile, atteso che l’esito dell’alcoltest può essere intaccato da argomenti, i più vari. La motivazione ne offre una breve rassegna: vizi o errori di strumentazione, vizi di metodo nell’esecuzione dell’aspirazione (indicazioni che rilevano a titolo di mera esemplificazione).

In posizione marginale, altro spunto in diritto offerto dalla Suprema Corte concerne la concessione della sospensione condizionale della pena, punto sul quale la Cassazione si sofferma a difendere la Corte d’appello. Con poche e risolutive parole, il Collegio chiarisce che concedere o meno il beneficio della sospensione condizionale della pena è lasciato al prudente apprezzamento del giudice del merito.

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