Particolare tenuità del fatto: sentenza da annullare con rinvio solo se ricorrono le condizioni (Cas
Qualora sussistano i presupposti per l’applicazione della causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto la Corte di cassazione deve annullare con rinvio la sentenza impugnata per consentire ai giudici di merito la valutazione conseguente.
Nel caso in cui, invece, la Corte di cassazione ritenga, sulla scorta della sentenza impugnata, che il giudice del merito abbia anche solo implicitamente escluso la sussistenza dei presupposti enunciati dall’art. 131-bis c.p., secondo la sentenza n. 41742/2015, la relativa questione deve essere rigettata, non essendo necessario un controllo di fatto.
La Cassazione torna ad attraversare le acque perigliose della tenuità del fatto. In attesa di vedere quali parametri la giurisprudenza di legittimità andrà ad elaborare per l’applicazione dell’art. 131-bis c.p., è forte l’impressione che i giudici di palazzo Cavour siano, proprio in questa materia, ad uno snodo per il ruolo della Corte.
Sarebbe inutile far finta di non accorgersi che la funzione nomofilattica si è ormai annacquata in decine di migliaia di sentenze che assolvono con difficoltà all’onere di tracciare le vie dell’uniforme interpretazione della legge penale.
La stessa selezione dei giudici della Cassazione - in massima parte provenienti dalle funzioni di primo grado - rischia di consegnare alla Corte un sindacato fortemente condizionato dalla necessità di chiudere i percorsi processuali, evitare defatiganti giudizi di rinvio e mitigare l’horror vacui della prescrizione.
La sentenza 41742/2015 mostra, all’evidenza, i segni di questo crinale poiché in essa è latente la preoccupazione di evitare un giudizio di rinvio che avrebbe determinato la perenzione del reato.
La particolare tenuità del fatto, la sua conclamata retroattività anche nel giudizio di Cassazione (cfr., per prima, n. 15449/2015), la rilevanza esclusivamente fattuale dei requisiti che ne comportano l’applicazione è il terreno in cui più evidente appaiono i pericoli (invero cospicui) di un’alterazione della funzione di legittimità.
Per comprendere la rilevanza della questione è bene prendere in esame il principio enunciato in altra, praticamente coeva, pronuncia della Corte: «Il Collegio ritiene, pertanto, che nel caso concreto s'imponga l'annullamento della decisione impugnata in ragione della sopravvenuta disciplina più favorevole. La motivazione offerta dal giudice di merito, che ha affermato “il mancato riscontro di una condotta di guida concretamente pericolosa”, valutata unitamente all'applicazione della pena in misura pari al minimo edittale, nel concorso degli altri presupposti di legge concernenti la pena edittale e l'abitualità, rappresentano indici significativi, nel senso della possibile sussunzione del fatto nell'ipotesi di particolare tenuità, che dovranno essere valutati dal giudice del rinvio» (Cassazione sezione IV, 31/07/2015 n. 33821).
La decisione rimetteva, correttamente, al giudice territoriale il compito di esaminare tutte le circostanze di fatto che erano alla base dell’applicazione dell’art.131-bis c.p. Non si vede, d’altronde, come la Cassazione potrebbe estendere il proprio sindacato (teoricamente) di mera legittimità, sino al punto di operare le minute misurazioni di fatto che la norma penale esige al fine di mandare prosciolto l’imputato per la tenuità della condotta e/o dell’offesa.
Di segno diverso il percorso della sentenza 41742/2015.
Anche in questo caso la Corte era chiamata a valutare dell’applicabilità dell’art. 131-bis c.p.. e si procede da un enunciato che tende a consolidarsi: «Dai primi pronunciamenti della Suprema Corte in subiecta materia, si ricava l'orientamento come la proposizione della questione relativa alla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all'art. 131-bis c.p. - quand'anche rilevabile nel giudizio di legittimità, a norma dell'art. 609, comma 2 c.p.p. nell'ipotesi in cui non sia stato possibile proporla in appello - non implica necessariamente l'inevitabile annullamento della sentenza impugnata con obbligo di rinvio al giudice dì merito per la decisione sul punto, atteso che è ben possibile che la Corte di legittimità proceda a rigettare direttamente la relativa richiesta ove non ricorrano le condizioni per l'applicabilità dell'istituto sulla base delle implicite valutazioni in fatto operate dal giudice di merito (cfr. Cassazione sezione III, 22/05/2015 n. 21474, m. 263693)».
Il criterio suscita qualche perplessità.
Posto che si tratta di fare applicazione ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 28/2015 dell’art. 131-bis c.p. quale norma più favorevole ai sensi dell’art. 2 c. 4, c.p., non si intende bene come la questione possa essere stata esaminata dalla corte territoriale per via «implicita».
La delibazione di particolare tenuità, difatti, esige il riscontro di requisiti e di presupposti, soggettivi ed oggettivi, che difficilmente i giudici del merito potrebbero aver preso in esame «implicitamente». La sentenza esplicita la circostanza che si tratta di «valutazioni in fatto», ma malgrado tale warning non rinuncia ad esplorare la questione al fine di accertare se – sostituendosi ai giudici di merito – sia possibile verificare il perimetro di applicazione della nuova causa di esclusione della punibilità.
Ora se alcuni parametri possono chiaramente evincersi dalle sentenze di primo e secondo grado (ad es. l’abitualità della condotta contestata), altre (ad es. la ponderazione dell’esiguità del danno o del pericolo ovvero l’aver agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o l’avere adoperato sevizie o, ancora, l’aver profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima») impongono uno scrutinio in fatto della vicenda che difficilmente potrebbe dirsi di competenza di una Corte di legittimità.
Com’è noto la Terza Sezione, con l’ordinanza n. 21014/15, aveva rimesso alle Sezioni unite la risoluzione di alcune questioni relative all’art.131-bis c.p.
Come detto pochi giorni dopo la Cassazione (Sezione III, 08/04/2015 n. 15449) si pronunciò in favore della retroattività della causa di esclusione della punibilità e per la sua applicazione innanzi alla Corte regolatrice.
Uno dei punti segnalati discendeva dalla necessità di adeguamento di questo canone ex art.131-bis c.p. al processo innanzi alla Cassazione e, correttamente, l’ordinanza n. 21014/15 riteneva che questa soluzione fosse imposta dall'art. 609, c. 2 c.p.p. che accorda alla Corte suprema una potestà decisoria su tutte le questioni «che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello», oltre che su quelle rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del processo.
Il quomodo, ossia le modalità attraverso cui la difesa dell’imputato può sollevare la questione dell’applicazione dell’art.131-bis c.p. innanzi alla Corte, possono essere quelle tipicamente previste dal codice di rito per quella fase.
La Terza Sezione con l’ordinanza 21014/2015 prefigurava che un intervento d’ufficio del giudice di legittimità fosse possibile tutte le volte che - «posto di fronte a casi di effettiva irrilevanza del fatto anche sulla base di quanto emerga dal testo della sentenza impugnata, dopo aver verificato l'astratta applicabilità della norma di favore in relazione ai vari presupposti e/o condizioni richieste dalla norma medesima» - decida di darvi attuazione attraverso una pronuncia di annullamento con rinvio.
Si tratta del postulato intorno a cui flette la più rilevante delle questioni poiché mette in fibrillazione i «limiti connaturati alla natura del giudizio di legittimità che rendono più problematica la soluzione (o le soluzioni alternative) da adottare. Non va, in proposito, dimenticato che l'applicabilità dell'istituto nei giudizi di legittimità implica comunque delle valutazioni di merito, non disgiunte dalla necessità che ai vari soggetti interessati sia offerta la possibilità di interloquire».
Era il punto cruciale dell’ordinanza n. 21014/15 che si interrogava sul modo e sui limiti attraverso cui fosse possibile operare una verifica in Cassazione circa la sussistenza, in astratto, delle condizioni per l’applicabilità dell’art.131-bis c.p.
La delimitazione della potestà cognitiva della Corte nella verifica della sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell’art.131-bis c.p. pone l’alternativa se la Corte debba limitarsi ad una verifica sulla base delle emergenze rilevabili dalla sentenza impugnata ovvero se possa - o debba - adottare comunque una pronuncia di annullamento con rinvio. La tesi della possibilità di un annullamento con rinvio, nel caso di accertamento favorevole circa la sussistenza in astratto delle condizioni legittimanti l'applicabilità dell'istituto, era stata espressamente sostenuta dalla citata sentenza n.15449/2015, con il ché, però, il problema era solo spostato visto che – in ipotesi di ricognizione negativa – la Corte si riservava egualmente il potere di una verifica sulle circostanze di fatto, escludendo qualsivoglia rinvio al giudice di merito.
L’incongruenza era rilevata dall’ordinanza n. 21014/2015 che marcava la circostanza che il potere di accertamento della Corte fosse, nell’una come nell’altra ipotesi, pur sempre orientato all’accertamento di “merito” circa la sussistenza dei requisiti per l’applicazione dell’art.131-bis c.p. con il risultato che, se la verifica fosse negativa, il giudizio di legittimità proseguiva, mentre in caso di accertamento positivo avrebbe dovuto limitarsi all’annullamento con rinvio o spingersi sino all’annullamento senza rinvio.
Quell’ordinanza non prescindeva dalla consapevolezza che la complessità della valutazione imposta dall’art.131-bis c.p. esigeva «sempre un giudizio di merito, impossibile da esprimere da parte della Corte di Cassazione che deve, invece, - quanto meno allo stato attuale - indicare criteri di massima al giudice di merito cui informare una futura decisione sulla meritevolezza ai fini dell'applicabilità della causa di non punibilità, sulla base delle allegazioni dell'imputato e nel rispetto del contraddittorio con gli altri protagonisti processuali».
Tuttavia, si trattava di un percorso davvero accidentato e la sentenza 41742/2015 annovera con precisione quelle pronunce che hanno ritenuto possibile un annullamento con rinvio solo quando «sulla base di quanto emergente dalle risultanze processuali e dalla motivazione della decisione impugnata» sia possibile una «valutazione positiva» circa l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. (ad es. n. 22381/2015).
Per rendere possibile questa valutazione la pronuncia in commento aggiunge che «in ragione della necessità di contemperare l'obbligo di rilevazione d'ufficio della particolare tenuità del fatto, discendente dal disposto dell'art. 129 c.p.p., con la fisiologia del giudizio di legittimità, che preclude a questa Corte di esprimere valutazioni in fatto, spettanti al solo giudice di merito, l'apprezzamento del giudice di legittimità non può che essere limitato ad un vaglio di astratta non incompatibilità dei tratti della fattispecie, come risultanti dalla sentenza impugnata e dagli atti processuali, con gli indici-criteri e gli indici-requisiti indicati dalia novella e appena sopra menzionati».
Il ché, detto francamente, non convince del tutto, visto che si dovrebbe rendere di quale siano le vere differenze tra una delibazione negativa (con rigetto del motivo di ricorso) e quella positiva (ed annullamento con rinvio) dei presupposti ex art.131-bis c.p.
La sentenza, ovviamente, affronta puntualmente i profili salienti della vicenda processuale rimessa al suo esame ed esclude che possa farsi luogo all’applicazione della causa di esclusione della punibilità.
Tuttavia è significativo che così concluda: «Per le ragioni dinanzi esposte che impongono l'inaccoglibilità nel merito della richiesta di riconoscimento della causa di non punibilità».
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