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Responsabilità dell'avvocato: la diligenza si valuta in base alla complessità della causa (Cass.

La diligenza dell’avvocato è da valutarsi in base alla complessità della causa. L’inadempimento delle obbligazioni inerenti l’esercizio di un’attività professionale non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato desiderato, ma valutato alla stregua della violazione del dovere della diligenza professionale in relazione alla natura dell’attività esercitata.

E’ quanto disposto dalla Corte di Cassazione, sez. II Civile, nella sentenza n. 2954/16.

Nella vicenda in esame un legale aveva evocato, davanti al tribunale territorialmente competente, il proprio cliente, un ente comunale, lamentando che quest’ultimo non aveva pagato il saldo del compenso richiesto. Si costituiva in giudizio il Comune, deducendo l'incongruità del computo dell’importo preteso, in quanto asseriva che fossero stati applicati coefficienti di calcolo della parcella inesatti, poiché non corrispondenti al valore della causa. Formulava, inoltre, domanda riconvenzionale di risarcimento danni, sostenendo la responsabilità dell’avvocato per aver erroneamente individuato l'autorità giudiziaria competente per le azioni proposte, per l'effetto dichiarate inammissibili. Il giudice adito, condannava il convenuto al pagamento in favore dell'attrice di una somma per attività stragiudiziale svolta, oltre a quella per l’attività giudiziale, rigettando la domanda riconvenzionale presentata dal convenuto.

L’ente impugnava tale pronuncia, mentre la professionista presentava, a sua volta, appello incidentale. La corte di merito accoglieva parzialmente sia l’appello principale che quello incidentale e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, rideterminava la decorrenza degli interessi di mora, oltre a riconoscere voci di spesa omesse dal giudice di prime cure.

Avverso tale sentenza il Comune proponeva ricorso per Cassazione, cui la controparte replicava con il proprio controricorso.

A giudizio del Collegio, sono infondati i motivi riferiti all’accertamento dell’asserita responsabilità della professionista resistente, in quanto le obbligazioni inerenti l'esercizio di un'attività professionale sono obbligazioni di mezzi e non di risultato.

In effetti, il professionista, nell’accettare l'incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non assume l’obbligo di realizzarlo. Sul punto, l'avvocato s’impegna ad esercitare diligentemente la propria attività professionale, proiettata al raggiungimento del fine voluto dal cliente, ma non garantisce il conseguimento.

Dunque, la responsabilità del professionista dovrà essere analizzata sulla scorta di un esame ipotetico circa il probabile esito favorevole dell'azione giudiziale, per come questa sarebbe dovuta essere intrapresa e diligentemente seguita. Pertanto, l'inadempimento del legale non potrà essere dedotto dal mancato conseguimento del risultato auspicato dal cliente, ma dovrà essere valutato alla stregua dell’eventuale violazione dei doveri relativi allo svolgimento dell'attività professionale ed, in particolare, al dovere di diligenza.

Tale dovere, regolato dall'art. 1176 II c. c.c, deve essere commisurato alla natura dell'attività esercitata, sicché la diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento dell'attività professionale in favore del cliente è quella media, ovvero la diligenza posta nell'esercizio della propria attività dal professionista di preparazione professionale e di attenzione media (Cass. 03/03/1995 n. 2466; Cass. 18/05/1988 n. 3463).

Perciò, la responsabilità del professionista, di regola, è disciplinata dai principi sulla responsabilità contrattuale, che contemplano varie ipotesi, dalla colpa lieve al dolo.

A ciò si aggiunga che, qualora la prestazione professionale da eseguire, comporti la soluzione di problemi tecnici particolarmente complessi, la responsabilità del professionista è affievolita, la stessa configurandosi, secondo l'art. 2236 c.c., solo nel caso di dolo o colpa grave, con conseguente esclusione nell'ipotesi in cui nella sua condotta si riscontrino soltanto gli estremi della colpa lieve (Cass. 11/04/1995 n. 4152; Cass. 18/10/1994 n. 8470).

Dunque, nei casi in cui viene richiesta la soluzione di problemi tecnici di particolare complessità, la responsabilità è attenuata, e tale accertamento è rimesso al giudice del merito, il cui giudizio è incensurabile in sede di legittimità, purché sostenuto da motivazione congrua ed esente da vizi logici ed errori di diritto (Cass. 09/06/2004 n. 10966; Cass. 27/03/2006 n. 6967; Cass. 26/04/2010 n. 9917;Cass. 05/02/2013 n. 2638).

Nel caso in esame, precisa la Suprema Corte, i giudici distrettuali non sono incorsi, nella sentenza impugnata, nella violazione di legge che il ricorrente ha lamentato.

L'accertamento effettuato dalla Corte d’appello, è del tutto conforme ai principi di diritto in tema di responsabilità professionale, ed è inoltre, sorretto da una motivazione adeguata e corretta, per cui vanno disattese le censure sollevate dal Comune.

Unico motivo accolto dalla Cassazione è quello relativo alla violazione ed errata applicazione dell'art. 1224 c.c. e art. 28 legge n. 794 del 1942, in quanto la corte di merito ha riconosciuto gli interessi dalla data di introduzione della domanda solo per la somma attribuita per l’attività stragiudiziale, escludendo tale decorrenza per quella giudiziale.

In conclusione, la sentenza in esame è stata cassata in relazione all'unico motivo accolto e, la causa decisa nel merito, fissando la decorrenza degli interessi sul compenso, spettante anche per l'attività giudiziale, dalla data della domanda.

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