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L’ospedale non è responsabile per la limitatezza tecnica degli strumenti utilizzati (Cass. Civ. sez.

La struttura sanitaria non è responsabile per l’inadeguatezza tecnica degli strumenti diagnostici utilizzati all’epoca dei fatti. E’ quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4540 del giorno 08/03/2016.

Nella vicenda in esame, due coniugi convenivano in giudizio tre medici e la struttura ospedaliera ove questi prestavano la loro attività lavorativa, per sentirli condannare, in solido tra loro, al risarcimento dei danni patiti a causa della negligente ed imperita assistenza medica prestata a parte attrice durante lo stato di gravidanza della stessa. In particolare, si lamentava la mancata informazione dell’esistenza di gravissime malformazioni fetali in capo al nascituro, non rilevate nel corso degli accertamenti ecografici eseguiti alla 19 e alla 25 settimana di gestazione, ma ravvisate soltanto alla 32 settimana, epoca in cui non era più possibile effettuare l’interruzione volontaria di gravidanza.

Orbene, il Tribunale adito prima e la Corte d’Appello poi, respingevano la domanda attorea di risarcimento danni. In particolare, la Corte territoriale osservava che i mezzi diagnostici utilizzabili al tempo dei fatti di causa, avevano un’ “affidabilità assai limitata (12-21%), comunque non superiore al 18% per ecografie svolte prima della 24 settimana di gravidanza". Inoltre, i consulenti tecnici nominati, avevano rilevato, con metodo scientifico, che non essendo disponibili all’epoca, "le immagini ecografiche, ma solo i referti", la risposta ai quesiti "non poteva che essere fornita sulla base delle possibilità di rilevamento della patologia (peraltro molto rara anche secondo il primo CTU), in un’epoca gestazionale tale da consentire il diritto all’interruzione di gravidanza per grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna".

Avverso tale sentenza, l’attrice ha presentato ricorso in Cassazione. La Suprema Corte, ha ribadito il principio di diritto, espresso nella sentenza del 13/07/2011 n. 15386, ovvero che "in tema di responsabilità medica, il sanitario che formuli una diagnosi di normalità morfologica del feto anche sulla base di esami strumentali che non ne hanno consentito, senza sua colpa, la visualizzazione nella sua interezza, ha l’obbligo d’informare la paziente della possibilità di ricorrere ad un centro di più elevato livello di specializzazione, in vista dell’esercizio del diritto della gestante di interrompere la gravidanza, ricorrendone i presupposti'". Tale principio, non prevede che la struttura sanitaria o il medico strutturato rinviino sempre ad un centro maggiormente specializzato, ma è sancito l’obbligo di informare la paziente, che ad essa si sia rivolta di poter ricorrere a centri di più elevata specializzazione sorge, anzitutto, in ragione dell’esistenza di un presupposto inadempimento, addebitabile unicamente alla struttura sanitaria, di aver assunto la prestazione diagnostica pur non disponendo di attrezzature adeguate, così da ingenerare nella paziente l’affidamento che il risultato diagnostico ottenuto (di normalità fetale) sia quello ragionevolmente conseguibile in modo definitivo. Si tratta di un tipo d’inadempimento, fondato su deficit organizzativi dell’ospedale, che deve mettere a disposizione non solo il personale sanitario, ma anche le necessarie attrezzature idonee ed efficienti, della cui inadeguatezza essa struttura, inadempiente ex art. 1218 c.c., risponde in modo esclusivo (Cass. 01/07/2002, n. 9556; Cass. 26/01/2006, n. 1698), essendo, dunque, esonerato da siffatta specifica responsabilità il medico che sia diligentemente intervenuto sul paziente (Cass. 11/05/2009, n. 10743).

Dunque, la Suprema Corte ha rilevato che sussiste la responsabilità del medico che non si sia adoperato per il trasferimento di un paziente in una struttura ospedaliera più idonea ove in quella di ricovero non possa essere adeguatamente curato (Cass., 22/10/2014, n. 22338). Alla luce delle suesposte argomentazioni, nel caso in esame, come evidenziato dal giudice di merito, non sussiste a carico della struttura sanitaria e dei medici convenuti in giudizio, l’obbligo di informare la ricorrente dell’esistenza di altri centri specializzati più idonei a rendere una diagnosi di morfologia fetale corretta e completa, in quanto era "del tutto arbitrario affermare che la difficoltà nella diagnosi dipendesse, quantomeno all’epoca, dalla mancata visione degli arti nella loro interezza e non dalla rudimentale tecnica dei macchinari in quel periodo utilizzabili" (anno 1986), che, come accertato in base alla espletata c.t.u. collegiale, "non consentivano che una scarsa sensibilità (inferiore al 20% in età gestazionale utile all’interruzione della gravidanza" .

Pertanto non può addebitarsi al Policlinico l'inadempimento all'obbligazione di assunzione della prestazione nei confronti della gestante, in quanto non si tratta di inadeguatezza organizzativa della struttura sanitaria, ma di limitatezza tecnica degli strumenti diagnostici utilizzati all’epoca, che, in Italia nell’anno 1986 (e fino al 1990), assicuravano una percentuale di successo pari al 18%.

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