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Danno non patrimoniale va riconosciuto alla convivente della madre della vittima (Trib. Reggio Emili

Rileva ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale rileva l’esistenza di un saldo rapporto legame affettivo con la vittima: è quanto stabilito dal Tribunale ordinario di Reggio Emilia, II Sez. Civ., nella sentenza relativa alla causa civile iscritta al n. r.g. 3544/2010.

La questione esaminata riguardava, in particolare, il riconoscimento e la conseguente risarcibilità del danno da lesione del rapporto parentale alla convivente di fatto della madre della vittima di un sinistro stradale.

Nel caso in oggetto, gli attori avevano convenuto in giudizio il conducente di un veicolo coinvolto nel sinistro mortale, il proprietario del mezzo nonché la Compagnia assicuratrice per la RCA, al fine di ottenerne la condanna, in solido, al risarcimento dei danni causati loro dalla morte del soggetto trasportato, deceduto in seguito al suddetto incidente.

Il Tribunale adìto ha esaminato la domanda proposta dagli attori, e nello specifico, assume rilevo particolare la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale avanzata dalla convivente della madre della vittima.

Il caso è stato analizzato, dopo la disamina di pertinenti pronunce della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, espresse in materia.

Secondo la Suprema Corte (Cass. n. 8827 e n. 8828 del 2003), il danno da perdita del rapporto parentale è risarcibile non solo nei casi espressamente previsti dalla legge, a norma dell'art. 2059 c.c., ma anche quando il fatto illecito abbia leso interessi inerenti alla persona non connotati da rilevanza economica (cfr. Corte cost., sent. n. 88/79).

Ciò trova anche conferma nella sentenza della Corte costituzionale n. 233 del 2003.

Le SS.UU., nella sentenza n. 9556/2002, hanno specificato che, il criterio d’individuazione degli interessi inerenti alla persona, meritevoli di considerazione per il risarcimento in caso di lesione non è solo quello relativo alla titolarità di una situazione qualificata dal contatto con la vittima che di solito riguarda i rapporti familiari, bensì occorre considerare anche i legami di fatto. In particolare, l’individuazione della situazione qualificata che consente il diritto al risarcimento, trova un utile riferimento nei rapporti familiari, ma va pacificamente riconosciuta, sia in dottrina che nella giurisprudenza, la legittimazione di altri soggetti, come la convivente more uxorio.

Orbene, legittimato a chiedere i danni “iure proprio” è chi ha una duratura comunanza di vita e di affetti con la vittima, dovendo far riferimento all'art. 2 Cost., che attribuisce rilevanza costituzionale alla sfera relazionale della persona, in quanto tale (Cass. Civ. 21/3/2013 n. 7128). In tal senso si è pronunciata anche la Cassazione penale, che nella sentenza del 10/11/2014, n. 46351, ha sottolineato che, rileva ai fini della legittimazione iure proprio al danno non patrimoniale la sussistenza di un significativo e duraturo legame affettivo personale tra le parti. Assume rilievo anche pronuncia della Cassazione penale n. 20231/2012, in cui la parte civile era un soggetto non legato da rapporti di stretta parentela e non più convivente con la vittima di un incidente stradale, per ottenere il risarcimento dei danni morali.

Sulla scorta dei summenzionati orientamenti giurisprudenziali deve ritenersi che il danno da lutto possa essere astrattamente riconosciuto al soggetto legato da un saldo e duraturo rapporto affettivo con la cd. vittima primaria, previa verifica della relazione esistente.

Nella vicenda in esame, l’istruttoria espletata ha dimostrato che dopo la separazione dei genitori del soggetto deceduto in seguito al sinistro stradale, la madre aveva iniziato una convivenza con una donna, la quale aveva stretto un forte legame affettivo con la vittima, come confermato dai testi escussi.

Al riguardo, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella sentenza Moretti e Benedetti contro Italia del 27/4/2010, ha osservato come la questione dell’esistenza o meno di una “vita familiare” prevista dall’art. 8 della CEDU, in assenza di qualsiasi vincolo di parentela sia una questione di fatto che dipende dall’esistenza di legami personali stretti. In particolare, la Corte ha precisato che nelle relazioni di fatto la verifica circa il carattere familiare delle relazioni deve tenere conto: ”di un certo numero di elementi, come il tempo vissuto insieme, la qualità delle relazioni nonché il ruolo assunto dell’adulto nei rapporti con il bambino” ed ha riconosciuto l’esistenza di una vita familiare e la sua lesione.

La giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo ha ulteriormente esteso la nozione di “vita familiare” di cui all’art. 8 CEDU ricomprendendovi anche le unioni omosessuali.

Inoltre, i giudici costituzionali (Corte costituzionale n. 348 e 349 del 2007, n. 80 del 2011 e n. 15 del 2012) hanno evidenziato che l’art. 117 I c. della Costituzione opera come “rinvio mobile” alle disposizioni della CEDU, nell’interpretazione che ne dà la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che acquistano così titolo di fonti interposte e vanno ad integrare il parametro costituzionale.

In relazione a ciò, la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 317/2009 ha precisato che: “un incremento di tutela indotto dal dispiegarsi degli effetti della normativa CEDU certamente non viola gli articoli della Costituzione posti a garanzia degli stessi diritti, ma ne esplicita ed arricchisce il contenuto innalzando il livello di sviluppo complessivo dell’ordinamento nazionale nel settore dei diritti fondamentali”.

Inoltre, assume rilievo la sentenza del 17/4/2013 n. 9231, nella quale la Cassazione civile, ha riconosciuto all’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo, valenza di fonte normativa di riconoscimento di una posizione giuridica meritevole di tutela nel nostro ordinamento in linea con l’orientamento evolutivo della giurisprudenza di legittimità (Cass. Sezioni Unite penali 18288 del 13/5/2010; Cass. sez. Unite civ. ord. 6529/2010) che ha ritenuto i principi affermati dalla CEDU integrativi dei principi fissati dalla Costituzione sottolineando l’importanza della “interazione dialogica tra attività ermeneutica del giudice nazionale e di quello europeo nella prospettiva della più completa tutela dei diritti fondamentali”.

In virtù delle suesposte argomentazioni, ed alla luce degli elementi emersi dall’istruttoria probatoria, il Tribunale di Reggio Emilia, II Sez. Civ., ha riconosciuto in favore della richiedente, l’esistenza del danno non patrimoniale.

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