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Omesso versamento Iva: la crisi di liquidità non scrimina l’imprenditore (Cass. Pen. sez. III sent.

L’imprenditore in crisi di liquidità si può trovare spesso ad affrontare complesse valutazioni in ordine alle priorità di impiego delle (poche) risorse finanziarie; talvolta coactus, talatra libero di orientare le proprie scelte, è prioritario stabilire come e fino a quando poter sindacare il suo operato rispetto al mancato adempimento delle pretese tributarie.

Così, nel caso di specie, un imprenditore aveva presentato un piano di risanamento dell’impresa ex art. 67 c. 3 lett. d) l. fall., il mancato rispetto del quale, da parte degli istituti di credito che lo avevano inizialmente sottoscritto, aveva determinato un’imprevista ed improvvisa carenza di liquidità. Ad avviso del ricorrente, il fatto dell’omesso versamento dell’imposta (ben oltre la soglia di rilevanza penale dei 50.000 € prevista dall’art. 10-ter) sarebbe stato imputabile a detta difficoltà congiunturale, in un contesto nel quale – secondo la difesa – il professionista che aveva provveduto ad asseverare il piano di risanamento avrebbe sottratto alla disponibilità dell’impresa le somme necessarie all’estinzione delle obbligazioni tributarie. L’argomento coltivato dall’imprenditore è quello della non punibilità della condotta “in quanto priva di dolo e/o dovuta allo ... stato di necessità causato dall'impossibilità di adempiere l'obbligazione tributaria”. Si tratta però, con tutta evidenza, di un argomento facilmente esperibile in tutte le situazioni di difficoltà economiche, di tal che si rende(va) imprescindibile un opportuno ridimensionamento da parte del Giudice della legittimità. Del resto, non è una novità che la Cassazione elevi degli argini a verdetti assolutori troppo facili, senza che la si possa tacciare di rigorismo. In più, nel caso di specie l’imprenditore non sarebbe stato in condizione di incidere sulla destinazione allo scopo di somme adeguate ai versamenti dell’imposta dovuta (l’aver elaborato il piano di risanamento avrebbe avuto, in tal senso, ruolo marginale, o comunque recessivo, rispetto all’asseveramento del piano stesso). La querelle affrontata dalla Suprema Corte investe, in termini generali, la connotazione di diversi momenti di crisi dell’impresa, per distinguere in modo netto l’istituto del concordato preventivo dal piano di risanamento: solo nel primo caso, ad avviso dei Giudici, l’intervento di un soggetto terzo in posizione di garanzia e di vigilanza sulla bontà delle scelte imprenditoriali consente di scriminare le condotte poste in essere conformemente allo strumento, per il venir meno della loro connotazione rigorosamente privatistica. Sicuramente centrale, nel percorso motivazionale seguito dalla Cassazione, è la precisazione secondo la quale “la colpevolezza del soggetto tenuto ad assolvere l'obbligazione tributaria non è esclusa dalla crisi di liquidità intervenuta al momento della scadenza del termine utile per il versamento, a meno che l'imputato non dimostri che le difficoltà finanziarie non siano a lui imputabili e che le stesse, inoltre, non possano essere altrimenti fronteggiate con idonee misure anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale”. In altri termini, non è riconosciuta né riconoscibile al singolo la libertà di autodeterminare una priorità nei pagamenti a scapito delle scadenze tributarie, e degli esborsi connessi a tali scadenze.

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