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L'avvocato che moltiplica le azioni esecutive verso medesimo debitore va sanzionato (Cass. Civ.

Se l’avvocato compie diverse azioni esecutive nei confronti di un medesimo debitore, aggravandone così la posizione senza un valido motivo, viola il codice deontologico, dunque va sanzionato.

E’ quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, a Sez. Unite Civili, nella sentenza n. 961/17, depositata il 17/01/2017.

Nella vicenda in esame, il Consiglio d’Ordine forense di competenza, aveva attivato un procedimento disciplinare nei confronti di alcuni avvocati, nelle rispettive qualità di difensore e/o procuratore domiciliatario e/o sostituto di udienza, in relazione all'attività professionale compiuta da ciascuno. Attivando diverse iniziative giudiziarie, i suddetti legali avevano aggravato la posizione del debitore, senza che, in realtà, vi fossero effettive ragioni di tutela della parte assistita.

In particolare, le condotte contestate ai legali consistevano nel:

a) richiedere per conto del medesimo cliente una pluralità di ingiunzioni per ragioni creditorie in tutto analoghe tra loro, riferita a crediti maturati in ristretto lasso di tempo;

b) procedere alla redazione-intimazione di separati atti di precetto per la sorte capitale ed onorari, dichiarandosi antistatario e in questo modo obiettivamente aumentando ingiustificatamente il complesso delle spese legali dovute con riferimento a ciascun titolo esecutivo;

c) procedere per conto dello stesso cliente a plurimi atti di intervento per fatture autenticate emesse in arco temporale ristrettissimo, ovvero per decreti ingiuntivi ottenuti contestualmente o in breve arco temporale, ottenendo per ciascuno di essi la liquidazione delle spese consequenziali;

d) pervenire a plurime liquidazioni e distribuzioni amichevoli delle somme ricavate, operando in sede di assegnazione ulteriori frazionamenti del credito apparentemente ingiustificati;

e) patrocinare le regioni creditorie di cui sopra in sede esecutiva mantenendo e procrastinando l'ingiustificato frazionamento dei crediti sopra descritti”.

Terminata la fase amministrativa, il Consiglio dell’ordine forense prosciolse gli avvocati domiciliatari, ritenendo gli altri, invece, responsabili degli illeciti disciplinari ascritti ai capi a) - c) - d) - e), applicando loro la sanzione disciplinare della sospensione.

Proposto ricorso al CNF che, esclusa la fondatezza dell'addebito sub capo a), ha confermato gli altri addebiti, riducendo la durata della sospensione inflitta. Avverso la cassazione di tale decisione, gli avvocati hanno presentato ricorso accolto dalle sezioni unite che, hanno annullato con rinvio la sentenza del CNF. Quest’ultimo, a seguito di riassunzione, pronunziando quale giudice di rinvio, ha applicato le sanzioni della censura e della sospensione per mesi tre. Avverso tale decisione, i legali hanno proposto ricorso in Cassazione.

La Suprema Corte, a Sezioni Unite, ha rigettato il ricorso, sulla scorta delle seguenti argomentazioni.

Innanzitutto, ha ritenuto che il CNF abbia considerato come provata la pluralità d'interventi posti in essere nella procedura esecutiva, evidenziando la condotta negativa dei legali, di attivare plurimi interventi che ben avrebbero potuto, per ciascun creditore, essere compendiati in unico atto e con un’unica liquidazione dei compensi, senza aggravare ingiustificatamente la posizione del debitore. In tal modo, i suddetti legali sono incorsi nell'illecito deontologico dell'art. 49, laddove "L'avvocato non deve aggravare con onerose o plurime iniziative giudiziali la situazione debitoria della controparte quando ciò non corrisponda ad effettive ragioni di tutela della parte assistita".

Analogamente l'art. 66, del nuovo codice deontologico stabilisce che "L'avvocato non deve aggravare con onerose o plurime iniziative giudiziali la situazione debitoria della controparte, quando ciò non corrisponda ad effettive ragioni di tutela della parte assistita" (c. 1) e che "La violazione del dovere di cui al precedente comma comporta l'applicazione della sanzione disciplinare della censura" (c. 2).

Dunque, non è consentito al creditore frazionare la propria pretesa in diverse richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in virtù delle regole di correttezza, buona fede e giusto processo per "inderogabili doveri di solidarietà" (art. 2 Cost.) da ritenersi violati quando il creditore aggravi ingiustificatamente la posizione del debitore ed eserciti l'azione in forme eccedenti, o devianti, rispetto alla tutela dell'interesse sostanziale, che segna il limite, oltrechè la ragione dell'attribuzione, al suo titolare, della potestas agendi (Cass. Sez. U, n. 23726/2007; conf. Sez. U, n. 26961/2009).

Inoltre, le Sezioni Unite hanno osservato che, anche il frazionamento soggettivo delle azioni giudiziarie costituisce una condotta abusiva in quanto diretta a far aumentare gli oneri processuali della parte, per via della proliferazione non necessaria dei procedimenti (Cass. Sez. 1, n. 9488/2014).

Nel caso in esame, ha assunto rilievo la mancata osservanza, da parte dei legali, dei principi di correttezza e buona fede quali emergenti da una regola deontologica di protezione com'è quella dell'art. 49 cit., dettata in funzione della responsabilità sociale dell'avvocato.

In particolare, il giudice del rinvio, con insindacabile accertamento di fatto, ha precisato che "nella stessa udienza sono stati depositati plurimi atti di intervento per gli stessi creditori che ben avrebbero potuto essere ricompresi in unico atto".

Dunque ogni diversa ricostruzione fattuale, prospettata nel ricorso, è stata inammissibile perchè avrebbe comportato un nuovo giudizio di merito attraverso l'autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa, laddove il controllo di legittimità non equivale alla revisione del ragionamento decisorio nè costituisce occasione per accedere ad un terzo grado ove fare valere la supposta ingiustizia della decisione impugnata (Cass. Sez. U, n. 8053 del 2014 e n. 7931/2013).

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