I danni punitivi al varco delle Sezioni Unite (Cass. Civ. sez. I ord. 16/05/2016 n. 9978)
Con l’ordinanza n. 9978 del 16/05/2016, la Sezione I della Corte di Cassazione è tornata sulla vexata quaestio della riconoscibilità o meno (per contrasto con l'ordine pubblico) delle sentenze straniere comminatorie dei “danni punitivi”, sollecitando, sul punto, un eventuale intervento delle SS.UU. in quanto questione «di massima di particolare importanza».
Il provvedimento in commento fornisce lo spunto per un’importante rimeditazione delle funzioni da attribuire alla responsabilità civile e al risarcimento del danno nel nostro ordinamento.
Orientamento tradizionale negazionista
I punitive (o exemplary) damages di origine anglosassone consistono nel riconoscimento al danneggiato, prevalentemente in ipotesi di tort, di una somma ulteriore rispetto a quella necessaria a compensare il danno subito (compensatory damages), qualora il danneggiante abbia agito con malice (dolo) o gross negligence (colpa grave).
Essi rappresentano invero, negli ordinamenti di common law, una voce di danni autonoma, con finalità di tipo marcatamente punitivo, la cui commisurazione è effettuata con riferimento esclusivo ai parametri della gravità dell’offesa e dell’intensità dell’elemento psichico.
Orbene, il “trapianto” di tale tipologia di danni nell’ordinamento giuridico italiano è stato fortemente osteggiato in omaggio alla tradizione giuridica del nostro Paese, assestato su una funzione della responsabilità civile eminentemente compensativa.
Ed invero, l’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità è sempre stato nel senso della non riconoscibilità delle sentenze straniere contenenti statuizioni di condanna ai danni punitivi.
In tale prospettiva, il leading case è costituito dalla sentenza n. 1183 del 2007, relativo a un caso di responsabilità da prodotto difettoso per i vizi di un casco da motociclista.
In quell’occasione, ne è stata tratta la seguente massima: «nel vigente ordinamento alla responsabilità civile è assegnato il compito precipuo di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, anche mediante l'attribuzione al danneggiato di una somma di denaro che tenda a eliminare le conseguenze del danno subito mentre rimane estranea al sistema l'idea della punizione e della sanzione del responsabile civile ed è indifferente la valutazione a tal fine della sua condotta.
È quindi incompatibile con l'ordinamento italiano l'istituto dei danni punitivi che, per altro verso, non è neanche riferibile alla risarcibilità dei danni non patrimoniali o morali. Tale risarcibilità è sempre condizionata all'accertamento della sofferenza o della lesione determinata dall'illecito e non può considerarsi provata in re ipsa. È inoltre esclusa la possibilità di pervenire alla liquidazione dei danni in base alla considerazione dello stato di bisogno del danneggiato o della capacità patrimoniale dell'obbligato».
Sotteso all’impostazione suddetta è l’assunto in forza del quale il rimedio risarcitorio - nel solco della progressiva autonomia della disciplina della responsabilità civile da quella penale - non è reazione al comportamento antigiuridico del danneggiante, ma è forma di ristoro per il danneggiato, con conseguente obliterazione di qualsivoglia funzione punitiva.
In senso analogo si è altresì espressa la Cass. n. 1781 del 2012, precisando che, ragionando altrimenti, vi sarebbe un arricchimento senza una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto all'altro (anche secondo Cass. n. 15814/2008, in linea generale, «nel vigente ordinamento il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è riconosciuto con caratteristiche e finalità punitive ma in relazione all'effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso né il medesimo ordinamento consente l'arricchimento se non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto ad un altro»).
Parimenti, secondo Cass. SS.UU. n. 15350 del 2015, in tema di risarcibilità del cd. danno tanatologico, «i danni risarcibili sono solo quelli che consistono nelle perdite che sono conseguenza della lesione della situazione giuridica soggettiva e non quelli consistenti nell'evento lesivo, in sé considerato»; pertanto, «la progressiva autonomia della disciplina della responsabilità civile da quella penale ha comportato l'obliterazione della funzione sanzionatoria e di deterrenza (ex multis Cass. n. 1704 del 1997, n. 3592 del 1997, n. 491 del 1999, n. 12253 del 2007, n. 6754 del 2011) e l'affermarsi della funzione reintegratoria e riparatoria (oltre che consolatoria)».
Sulle stesse posizioni e con il conforto di argomentazioni analoghe si è attestata anche la dottrina prevalente, secondo la quale la funzione stessa del risarcimento del danno, lungi dal colorarsi di sfumature deterrenti-sanzionatorie, mira esclusivamente alla compensazione del pregiudizio subito dal danneggiato.
Orbene, rispetto a questo stato di cose, con l’ordinanza in commento la Cassazione lascia intravedere il manifestarsi di una importante interpretazione evolutiva del sistema.
L’ordinanza di rimessione: la “progressiva evoluzione” dell’ordine pubblico ...
Il ragionamento della Corte prende le mosse dalla ricostruzione della «progressiva evoluzione» che ha interessato il concetto di ordine pubblico ex art. 64, lett. g), d.lgs. 31/05/1995, n. 218.
Ed invero, originariamente il principio de quo è stato inteso come espressione di un limite riferibile all'ordinamento giuridico nazionale, costituito dal complesso dei principi che, tradotti in norme inderogabili o da queste desumibili, informano l'ordinamento giuridico e concorrono a caratterizzare la struttura etico-sociale della società nazionale in un determinato momento storico (così Cass. n. 3881/1969 e n. 818/1962); successivamente, si è ritenuto che l'indagine sulla conformità all'ordine pubblico andasse riferita all'ordine pubblico interno se la sentenza da riconoscere riguardava cittadini italiani e all'ordine pubblico internazionale se riguardava (soltanto) cittadini stranieri (cfr. Cass. n. 228/1982); nella giurisprudenza più recente, invece, si è imposto il riferimento all'ordine pubblico internazionale, da intendersi come complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l'ordinamento interno in un determinato periodo storico, ma fondati su esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo comuni ai diversi ordinamenti e desumibili, innanzi tutto, dai sistemi di tutela approntati a livello sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria (ex plurimis Cass. n. 1302 e 19405 del 2013, n. 27592/2006, n. 22332/2004, n. 17349/2002, n. 2788/1995).
Ebbene, secondo l’ordinanza, la suesposta evoluzione del concetto di ordine pubblico segna un «progressivo e condivisibile allentamento del livello di guardia tradizionalmente opposto dall'ordinamento nazionale all'ingresso di istituti giuridici e valori estranei, purché compatibili con i principi fondamentali desumibili, in primo luogo, dalla Costituzione, ma anche dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e, indirettamente, dalla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo».
D’altronde, la progressiva “contrazione” della portata del principio di ordine pubblico, tralatiziamente inteso come clausola di sbarramento alla circolazione dei valori giuridici, appare «coerente con la storicità della nozione» e trova un limite soltanto nella potenziale aggressione del prodotto giuridico straniero ai valori essenziali dell'ordinamento interno, da valutarsi in armonia con quelli della comunità internazionale.
Proseguendo lungo le coordinate così definite, i giudici di legittimità spiegano che «non dovrebbe considerarsi pregiudizialmente contrario a valori essenziali della comunità internazionale (e, quindi, all'ordine pubblico internazionale) l'istituto di origine nordamericana dei danni non risarcitori, aventi carattere punitivo: una statuizione di tale genere potrebbe esserlo, in astratto, solo quando la liquidazione sia giudicata effettivamente abnorme, in conseguenza di una valutazione, in concreto, che tenga conto delle "circostanze del caso di specie e dell'ordinamento giuridico dello Stato membro del giudice adito».
… e i “dubbi” dei giudici di legittimità
Orbene, così descritto lo scenario di riferimento, nel provvedimento in commento i Giudici di Piazza Cavour hanno apertamente palesato i propri “dubbi” sui seguenti interrogativi:
la funzione riparatoria-compensativa, seppur prevalente nel nostro ordinamento, è davvero l'unica attribuibile al rimedio risarcitorio ed è, quindi, condivisibile la tesi che ne esclude, in radice, qualsiasi sfumatura punitiva?
al riconoscimento di statuizioni risarcitorie straniere, con funzione sanzionatoria, può opporsi un principio di ordine pubblico desumibile da categorie e concetti di diritto interno?
e soprattutto, la funzione del rimedio risarcitorio, attualmente configurato in termini esclusivamente compensatori, assurge al rango di un «valore costituzionale essenziale e imprescindibile del nostro ordinamento», sicché finanche il legislatore ordinario risulta impossibilitato a derogarvi?
In realtà – argomenta la Prima Sezione – si deve tenere conto sia dello scopo del giudizio delibatorio (che è di dare ingresso nell'ordinamento interno non alla legge straniera, ma ad una sentenza o ad un atto, nell'ambito di uno specifico rapporto giuridico, con limitata incidenza sul piano del diritto interno) sia della «evoluzione della tecnica di tutela della responsabilità civile verso una funzione anche sanzionatoria e deterrente» (come rilevato da Cass. n. 7613/2015 - che, nonostante le differenze, ha evidenziato i "tratti comuni" tra i punitive damages e le astraintes, queste ultime non implicanti alcuna incompatibilità con l'ordine pubblico - e da una parte della dottrina, la quale ha osservato che la funzione anche afflittiva del risarcimento del danno non patrimoniale non era estranea ai lavori preparatori del codice civile, nei casi di particolare intensità dell'offesa all'ordine giuridico).
In altri termini, avverte la Corte che i tempi sono maturi per una rimeditazione della asserita incompatibilità tra i punitive damages e la funzione assolta dalla responsabilità civile.
Un’operazione siffatta testimonierebbe la «dinamicità o polifunzionalità del sistema della responsabilità civile, nella prospettiva della globalizzazione degli ordinamenti giuridici in senso transnazionale, che invoca la circolazione delle regole giuridiche, non la loro frammentazione tra i diversi ordinamenti nazionali».
D’altra parte – si legge nell’ordinanza in commento - questa tensione verso una funzione “poli-funzionale” della responsabilità civile (non solo compensativa-risarcitoria ma anche deterrente e punitiva) trova puntuale conferma nella presenza di numerosi «indici normativi» sintomatici della già avvenuta introduzione, nel nostro ordinamento, di rimedi risarcitori con funzione non riparatoria, ma sostanzialmente sanzionatoria (ex plurimis, in materia di diffamazione a mezzo stampa, di responsabilità processuale e di proprietà industriale).
Si tratta, in particolare, di fattispecie normative nelle quali la linea di confine fra compensazione e sanzione appare assai labile fino quasi a sbiadire.
Di qui, la necessità di rimettere l’esame della questione al Primo Presidente della Corte di Cassazione per l’eventuale assegnazione del ricorso alle SS.UU. Civili, ai sensi dell’art. 374 c.p.c. c. 2.
Conferma del consolidato orientamento o innovativa e dirompente rivisitazione delle funzioni della responsabilità civile? La parola alle SS.UU.-