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Locazione: transazione nulla se maschera l'aumento del canone (Cass. Civ. sez. III sent. 04/04/2

In materia di locazione, il canone di locazione non può essere aumentato nel corso del rapporto, ma solo aggiornato secondo la variazione dell’indice Istat dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati (art. 32 legge n. 392/1978).

Ogni patto finalizzato non all'aggiornamento ma all'aumento del canone è infatti nullo per violazione dell'art. 79 della legge n. 392; la nullità sussiste anche quando il patto che modifica il canone iniziale integri un accordo di natura transattiva?

A questa domanda risponde la Corte di Cassazione, Sezione III, con la sentenza del 04/04/2017, n. 8869.

Il locatore di un immobile adibito ad uso diverso da quello abitativo intimava disdetta, alla prima scadenza, al conduttore. La suddetta comunicazione era invalida per eccessiva genericità e le parti rinnovavano il contratto per ulteriori sei anni, con una nuova scrittura privata, in cui il canone veniva notevolmente maggiorato, oltre i limiti consentiti dall'art. 32, legge 392/1978. Il conduttore, quindi, agiva in giudizio al fine di vedere accertata la nullità dell’accordo di cui sopra, oltre alla ripetizione dei maggiori canoni versati. Il proprietario, invece, chiedeva il rigetto della domanda attorea ed agiva in via riconvenzionale domandando la risoluzione per inadempimento, avendo il conduttore sublocato l’immobile in spregio al divieto contenuto nel contratto. In primo grado, la domanda attorea veniva accolta ed il proprietario era condannato alla refusione di oltre 130 mila euro in aggiunta alle spese di lite. In secondo grado, la sentenza veniva capovolta. Si giungeva, così, in Cassazione.

La Suprema Corte, nella pronuncia in commento, ribadisce la nullità della comunicazione del diniego di rinnovazione alla prima scadenza della locazione – peraltro affermata sia in primo che in secondo grado – per eccessiva genericità. Infatti, si sottolinea come ai sensi dell’art. 29, legge 392/1978 non sia sufficiente un generico riferimento alle intenzioni del locatore di svolgere una non meglio specificata attività; al contrario, è necessario precisare la tipologia di attività che si intende svolgere.

Inoltre, il giudice di legittimità censura l’argomentazione seguita dalla corte etnea, secondo la quale, dal combinato disposto degli artt. 32 e 79, legge 392/1978, non può evincersi un divieto di modifica del canone, nel corso del rapporto, tramite accordi successivi alla stipulazione del negozio. Il costante orientamento espresso dalla Cassazione, infatti, ritiene che nelle locazioni adibite ad uso diverso «ogni pattuizione avente ad oggetto non già l’aggiornamento del corrispettivo ai sensi dell’art. 32 della legge 392 del 1978, ma veri e propri aumenti del canone, deve ritenersi nulla ai sensi dell’art. 79 I c. della stessa legge, in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello legislativamente previsto, senza che il conduttore possa, neanche nel corso del rapporto, e non soltanto in sede di conclusione del contratto, rinunciare al proprio diritto di non corrispondere i canoni non dovuti». Il percorso delibativo seguito dai supremi giudici scaturisce dall'esegesi dell’art. 79 L. 392/1978.

Il secondo comma della detta norma, infatti, consente al conduttore di agire per la ripetizione dei canoni versati in violazione dei divieti di legge anche successivamente alla riconsegna dell’immobile; a fortiori, quindi, egli ha diritto di domandare la restituzione delle somme versate (e non dovute) in corso di rapporto. Quanto all'autonomia negoziale, a cui fa cenno il giudice d’appello, secondo la Cassazione, l’accettazione da parte del conduttore di aumenti non dovuti non esclude il suo diritto alla ripetizione. A ciò si aggiunga che l’art. 32, L. 392/1978 consente al locatore di ottenere un aumento del canone solo nel limite del 75% delle variazioni accertate dell’indice ISTAT.

Pertanto, deve considerarsi affetta da nullità ogni clausola volta ad attribuire al proprietario aumenti del canone in misura maggiore. A riprova di quanto sopra, il cosiddetto “canone a scaletta”, ossia determinato in misura crescente per frazioni di tempo nell'arco del rapporto, viene ammesso e ritenuto legittimo, purché sia ancorato ad elementi predeterminati, al fine di evitare che la suddetta clausola finisca per aggirare la norma imperativa di cui all’art. 32 legge 392/1978. Inoltre, preme sottolineare come non possano equipararsi la clausola stipulata al momento in cui il contratto viene concluso e quella sottoscritta nel corso del rapporto. In quest’ultima circostanza, infatti, nulla esclude che il conduttore sia stato costretto ad accettarla per il timore di perdere l’immobile.

La Suprema Corte si sofferma, altresì, sulla validità della scrittura privata con la quale le parti avevano concordato il canone maggiorato. Secondo gli Ermellini, la suddetta scrittura è affetta da nullità. Infatti, attesa l’invalidità della disdetta, la rinnovazione del contratto è avvenuta senza motivo ed al locatore è stato attribuito un canone superiore al dovuto, in violazione della norma imperativa di cui al citato art. 32. Il patto sottoscritto è, quindi, nullo per illiceità della causa. Nondimeno la vera questio iuris sottoposta allo scrutinio della Cassazione è la seguente: se il suddetto patto possa ritenersi valido qualora sia inserito in una transazione. Infatti, un orientamento giurisprudenziale costante ha sempre escluso l’applicabilità dell’art. 79 cit. alle transazioni sui diritti disponibili.

La norma in commento, secondo gli interpreti, non esclude che le parti, in seguito alla cessazione del rapporto, possano addivenire ad una transazione. Tuttavia, nel caso di specie, deve applicarsi l’art. 79 cit. pur in presenza di una scrittura transattiva; essa, infatti, perseguiva il dichiarato scopo di consentire al locatore di ottenere un canone più alto di quello consentito, sfruttando il timore del conduttore di perdere l’immobile.

Invero, le parti non volevano un nuovo contratto, ma la prosecuzione di quello precedente con l’unica differenza di un canone maggiorato. Per le suesposte ragioni, la predetta transazione è nulla per contrarietà ad una norma imperativa (art. 32 cit.). Essa, infatti, era finalizzata al perseguimento di un risultato non consentito. Diversamente opinando, si finirebbe per considerare valido un accordo, in violazione di legge, solo per la diversa veste giuridica assunta (nel nostro caso, la transazione).

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