Negoziazione assistita e separazione: cessione di immobile senza notaio (Trib. Pordenone decr. 17/03
Secondo la recente pronuncia di merito in commento ai fini della trascrizione degli atti di trasferimento immobiliare eventualmente contenuti in un accordo di negoziazione assistita in materia di famiglia, ex art. 6 D.L. n. 132/2014, non è necessaria l’ulteriore autenticazione delle sottoscrizioni da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato, richiesta dal III comma del precedente art. 5.
Il decreto del 17/03/2017, con cui il Tribunale di Pordenone ha enunciato il principio di diritto sopra riportato, si impone all'attenzione del lettore non tanto per lo specifico e peculiare problema affrontato e risolto, che pure è di assoluta novità e di notevole importanza pratico-applicativa, ma soprattutto perché solleva una questione di portata generale assai più rilevante, relativa all'individuazione dei limiti che incontra il giudice in sede di interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni di legge.
Per maggiore chiarezza espositiva pare opportuno riepilogare per cenni la vicenda giudiziaria decisa dal provvedimento in commento.
Due coniugi, all'esito di un procedimento di negoziazione assistita, concludono un accordo con cui, ai sensi dell’art. 6 c. 1 D.L. n. 132/2014, raggiungono «una soluzione consensuale di separazione personale», convenendo, tra l’altro, «il trasferimento tra loro della quota di proprietà di un bene immobile» (verosimilmente, secondo l’id quod plerumque accidit, il marito ha ceduto alla moglie la metà dell’abitazione acquistata in costanza di matrimonio e, pertanto, in comunione legale).
Depositato presso la locale Procura della Repubblica, in difetto di figli minorenni, portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti, il Procuratore della Repubblica comunica agli avvocati delle parti il proprio nullaosta.
L’accordo, mentre è prontamente trascritto/annotato nei registri dello stato civile, non viene trascritto nei registri immobiliari: il conservatore, infatti, rifiuta di procedere alla trascrizione per difettare le sottoscrizioni del processo verbale di accordo delle parti della autenticazione compiuta «da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato» e richiesta dall'art. 5 c. 3.
A fronte del rifiuto del conservatore, i coniugi separati si rivolgono al Tribunale, il quale accoglie la loro domanda, ordinando al conservatore dei registri immobiliari di procedere alla trascrizione del trasferimento immobiliare.
Dopo aver ricordato che è fuori discussione sia la «possibilità di addivenire ad una cessione immobiliare … nell'ambito di una procedura di negoziazione assistita», giusto il «combinato disposto degli artt. 5 e 6, D.L. n. 132/2014», sia «la trascrivibilità – in sé ed in via generale – di tali cessioni concordate in sede di negoziazione», la decisione del Tribunale si fonda sulla convinzione che la previsione di cui all’art. 5 (espressamente definito dal provvedimento come «di portata generale»), c. 3, non debba trovare applicazione in relazione all'accordo concluso all'esito di «un procedimento di negoziazione assistita in materia di famiglia, regolato in forma specifica dall’art. 6».
Più in particolare, questa conclusione - «all'interno di una prospettiva esegetica costituzionalmente orientata» - sarebbe imposta dalle seguenti concorrenti considerazioni (riferite nell'ordine seguito dal Tribunale):
1) l’accordo concluso all'esito del procedimento di negoziazione assistita in materia di famiglia deve essere sottoposto al Procuratore della Repubblica per la concessione dell’autorizzazione o per il rilascio del nullaosta;
2) l’accordo de quo, ai sensi dell’art. 6 c. 3 «produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono … i procedimenti di separazione giudiziale …»;
3) «Poiché i provvedimenti giudiziali … non richiedono autenticazioni delle sottoscrizioni da parte di ulteriori “pubblici ufficiali a ciò autorizzati” ai fini della trascrizione delle cessioni immobiliari in essi eventualmente contenute, risult[erebbe] evidente che neppure gli accordi di negoziazione dovranno essere soggetti a tale adempimento, pena la vanificazione della predetta espressa equiparazione ai provvedimenti giudiziali ed il conseguente irriducibile contrasto con i canoni costituzionali di coerenza e ragionevolezza»;
4) la legge consente che siano suscettibili di essere trascritti nei registri immobiliari non soltanto i provvedimenti giudiziali aventi forma diversa dalla «sentenza», pure richiesta dall'art. 2657 c.c.(come, ad esempio, il decreto di trasferimento pronunciato ex art. 586 c.p.c. in sede di espropriazione forzata immobiliare, nonché l’ordinanza che dichiara esecutivo il progetto di divisione ex art. 789 c.p.c.), ma anche provvedimenti fondati sull'autonomia negoziale delle parti, come il lodo arbitrale (rituale) che sia stato dichiarato esecutivo ex art. 825 c.p.c.;
5) posto che l’accordo di negoziazione assistita munito del nullaosta del Procuratore della Repubblica produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali, «non può non essere ricompreso anche quello di costituire titolo per la trascrizione»;
6) ulteriori «autenticazioni» sarebbero da considerarsi una «sostanziale inutilità»;
7) «mentre in ambito extra-familiare gli accordi di negoziazione possono essere validamente conclusi con l’assistenza di un unico avvocato per entrambe le parti, in materia di famiglia è necessariamente richiesta - proprio per la particolare delicatezza dei diritti, degli interessi coinvolti e delle conseguenze inferite - la presenza di almeno un avvocato per parte»;
8) "esigere l’intervento di un’ulteriore figura professionale in caso di atti soggetti a trascrizione contenuti in “negoziazioni familiari”, contrasterebbe con la “…finalità di assicurare una maggiore funzionalità ed efficienza della giustizia civile” espressamente enunciata nel Preambolo del medesimo D.L. n. 132/2014, addossando alle parti ulteriori formalità e costi aggiuntivi, con effetti disincentivanti nei confronti della negoziazione assistita, incompatibili con i dichiarati intenti di semplificazione ed efficienza perseguiti dal Legislatore».
Questa motivazione non appare convincente ed, anzi, ove si consideri con attenzione, appare intrinsecamente contraddittoria.
Il nocciolo dell’argomentazione pare poter essere individuato nella considerazione - assolutamente non soltanto condivisibile, ma anche pacifica - che le norme stabilite dall'art. 6 sono speciali rispetto alle altre dettate dal D.L. n. 132/2014 in materia di negoziazione assistita.
L’art. 6, infatti, detta una disciplina speciale «al fine di raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio nei casi di cui all'articolo 3 I c., numero 2), lettera b), della legge 01/12/1970, n. 898, e successive modificazioni, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio».
In particolare, come correttamente (seppure disordinatamente ed in modo incompleto) ricordato in motivazione, l’art. 6 stabilisce le seguenti norme speciali:
- ciascun coniuge o ex coniuge nel procedimento di negoziazione avente ad oggetto questa materia deve essere assistito da (almeno) un difensore;
- gli avvocati nel corso del procedimento devono tentare di conciliare le parti ed informarle sia della possibilità di esperire la mediazione familiare, sia, in presenza di minori, dell'importanza per questi «di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori»;
- ove venga concluso l’accordo, il suo testo deve dare espressamente atto dell’assolvimento di questi adempimenti;
- l’accordo raggiunto dalle parti deve essere sottoposto al controllo del Procuratore della Repubblica per il rilascio di un nullaosta o di un’autorizzazione;
- ciascun avvocato ha l’obbligo (sanzionato in via amministrativa) di trasmettere, entro 10 giorni dalla ricezione del nullaosta o dell’autorizzazione, copia autenticata dell’accordo all'ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto;
- l’accordo deve essere trascritto ed annotato nei registri dello stato civile;
- da ultimo, viene espressamente previsto che «L'accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al c. 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio».
Ma la specialità dell’art. 6 consiste e si esaurisce nelle previsioni sopra richiamate: ai sensi dell’art. 14 disp. prel., infatti, «Le leggi … che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi … in esse considerati».
Di conseguenza, il giudice, per risolvere questioni «generali», che non sono espressamente disciplinate dall'art. 6, deve applicare le disposizioni «di portata generale».
In particolare, come espressamente indicato in motivazione, l’individuazione dei requisiti necessari affinché un accordo concluso all'esito del procedimento di negoziazione assistita possa costituire titolo per la trascrizione nei registri immobiliari, rappresenta una questione «generale», che deve essere risolta alla luce dell’art. 5, pure «di portata generale».
Nella specie, questa conclusione appare confermata altresì dalla medesima disposizione speciale: l’art. 6, c. 3, ultimo periodo, infatti, nell'imporre agli avvocati delle parti l’obbligo di trasmissione di copia autenticata dell’accordo all'ufficiale dello stato civile, espressamente richiama la norma generale, precisando che la copia dell’accordo deve essere «munito delle certificazioni di cui all'articolo 5».
Né la conclusione appena esposta, secondo cui il giudice avrebbe correttamente dovuto applicare l’art. 5, può essere superata invocando «una prospettiva esegetica costituzionalmente orientata».
Come ben noto, secondo il costante insegnamento della Corte costituzionale, il giudice non deve sollevare questione di legittimità costituzionale di una norma di legge, ove sia in grado di darne un’interpretazione costituzionalmente conforme.
Nella specie, però, il giudice, dubitando della ragionevolezza dell’art. 5 c. 3, non si è limitato ad attribuire a questa disposizione un significato conforme alla Costituzione, bensì l’ha completamente ed integralmente disapplicata, così: innanzi tutto, realizzando il medesimo effetto che sarebbe stato prodotto da un’eventuale dichiarazione d’illegittimità costituzionale; in secondo luogo, sostituendosi alla Corte costituzionale; in ultima analisi, vanificando il sistema di controllo di legittimità costituzionale accentrato.
Certo è ben possibile che in sede interpretativa una norma rimanga disapplicata per essere ritenuta vuoi abrogata per incompatibilità, vuoi inapplicabile nel caso di specie, ma il decreto in commento motiva l’inapplicabilità dell’art. 5 c. 3, sulla base della (opinabile) convinzione che sia una disposizione in «irriducibile contrasto con i canoni costituzionali di coerenza e ragionevolezza».
Queste considerazioni possono essere considerate adeguate per motivare, non certo la disapplicazione della disposizione, bensì – semmai – un’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale per la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della disposizione medesima.
Conferma dell’esattezza del rilievo, peraltro, può trarsi dalla circostanza che, tra gli argomenti invocati a sostegno della presunta irragionevolezza dell’art. 5, c. 3, vi è anche la considerazione secondo cui il medesimo si porrebbe in contrasto con la finalità espressa nel preambolo del D.L. n. 132/2014 di «assicurare una maggiore funzionalità ed efficienza della giustizia civile»: si tratta chiaramente di un rilievo che ha valenza non limitata esclusivamente alla negoziazione assistita in materia di famiglia, bensì generale, e, conseguentemente, che può persuasivamente essere usato non per giustificare la disapplicazione nello speciale ambito di famiglia della norma generale, bensì, tutt'al più, per censurarne la legittimità costituzionale.
Come accennato, inoltre, la norma che impone l’autenticazione delle sottoscrizioni degli accordi conclusi all'esito del procedimento di negoziazione assistita da parte di «un pubblico ufficiale a ciò autorizzato» [leggasi: un notaio], al fine di poter essere trascritti nei registri immobiliari pare non palesemente irragionevole, ma, anzi, rientrare nell'ambito dell’ampia discrezionalità che la Consulta riconosce al legislatore ordinario nella materia della tutela dei diritti, specie ove si consideri che:
- da un lato, l’impegno imposto alle parti è assai modesto sotto ogni profilo, sia economico, sia temporale, sia organizzativo;
- dall'altro, ben diversamente da quanto sostenuto in motivazione, l’imposizione dell’autenticazione ad opera di un notaio non può essere considerata una «sostanziale inutilità».
Ai sensi dell’art. 72 c. 3 l. not., infatti, «Le scritture private, autenticate dal notaro, verranno, salvo contrario desiderio delle parti e salvo per quelle soggette a pubblicità immobiliare o commerciale, restituite alle medesime», sicché l’obbligo di autenticazione imposto alle parti, ha come conseguenza, tra l’altro, che l’atto venga conservato presso il notaio, attraverso la sua inserzione nel repertorio notarile degli atti tra vivi.
Né possono condividersi gli ulteriori due argomenti invocati a dimostrazione della presunta irragionevolezza dell’art. 5 c. 3, cioè, da un lato, che la sua applicazione vanificherebbe l’espressa equiparazione compiuta dal successivo art. 6 dell’accordo concluso all'esito della negoziazione assistita ai provvedimenti giudiziali e, dall'altro lato, che l’ordinamento consente la trascrizione nei registri immobiliari di un’assai eterogeneità di atti.
Quanto al primo rilievo vale osservare che l’equiparazione stabilita dall'art. 6 c. 3, primo periodo, pare funzionale semplicemente a chiarire che attraverso la negoziazione assistita è possibile ottenere esattamente i medesimi effetti a tutela di situazioni giuridiche, come gli status familiari, tradizionalmente non soltanto ritenuti indisponibili, ma anche soggetti alla c.d. giurisdizione costitutiva necessaria (cioè insuscettibili di essere modificati senza il previo accertamento del giudice sull'esistenza dei presupposti a cui la legge collega quella modificazione). Conferma della correttezza del rilievo, peraltro, discende dalla circostanza che sostanzialmente la medesima formula ricorre nell'art. 12 c. 3 D.L. n. 132/2014, ai sensi del quale l’accordo concluso innanzi all'ufficiale di stato civile (che «non può contenere patti di trasferimento patrimoniale») «tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al c. 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio».
In ordine all'ultimo argomento invocato per dimostrare l’incostituzionalità dell’art. 5 c. 3 a quanto sembra di capire, per irragionevole disparità di trattamento, la circostanza che la legge consenta la trascrivibilità nei registri immobiliari di una varietà di atti tanto eterogenea da apparire insuscettibile di essere ridotta ad unità, ben lungi dal dimostrare l’irragionevolezza della disposizione che impone l’autenticazione dell’accordo concluso all'esito del procedimento di negoziazione assistita, costituisce la conferma che il legislatore in materia goda della più ampia discrezionalità, rendendo, di conseguenza, estremamente limitato il possibile sindacato della Corte costituzionale.