Contestazione disciplinare: datore non ha l'obbligo di esibire i documenti aziendali (Cass. Civ.
E’ assunto assai noto che l’art. 7 Stat. Lav. ha introdotto nell'ordinamento giuslavoristico, ad integrazione della disciplina contenuta nell’art. 2106 c.c., una serie di limiti all'esercizio concreto del potere disciplinare del datore di lavoro, con la peculiare funzione di coordinare le esigenze di protezione dell’organizzazione del lavoro in impresa con quelle di rispetto della dignità del lavoratore.
Esso, invero, delinea un articolato procedimento in cui il datore di lavoro assume le vesti di “giudice domestico” su cui incombe l’onere di formulare i “capi di imputazione” e di farlo nel modo più idoneo a porre il lavoratore in condizione di esercitare compiutamente il proprio correlato diritto di difesa.
A tale scopo, la stessa legge, e la contrattazione collettiva, da sempre attenta alla puntuale regolamentazione del potere disciplinare, richiedono che la contestazione disciplinare risponda al principio della specificità, ovverosia contenga l’indicazione circostanziata e non generica dei dati e degli aspetti necessari ed essenziali ad individuare il fatto rilevante disciplinarmente nella sua materialità, tale da consentire al lavoratore l’individuazione esatta e puntuale dell’infrazione addebitatagli.
A tale requisito non fa da eco, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, alcun obbligo del datore di lavoro di rendere note le prove su cui l’addebito si fonda, poiché il procedimento disciplinare, nella logica contrattuale, espressione di parti portatrici di interessi contrapposti, non è volto ad acquisire la certezza ed effettività dei fatti disciplinarmente rilevanti, essendo tale accertamento affidato all'autorità giudiziaria.
Dalla norma di cui all'art. 7 Stat. Lav., in altre parole, non è possibile dedurre la configurazione di un diritto del lavoratore ad una allegazione documentale da parte del datore di lavoro a prova dei fatti dedotti in sede in contestazione degli addebiti disciplinari, e quindi la creazione di un obbligo di esibizione degli stessi in capo al datore di lavoro, salva la possibilità di ottenerne l’esibizione forzata in corso di giudizio.
Principio a cui si è conformata la recente sentenza della Corte di Cassazione, Sez. Lav. n. 23408 del 06/10/2017, che, nel respingere le doglianze del lavoratore ricorrente, ha condiviso le conclusioni a cui è giunta la Corte territoriale, e prima il Giudice di I grado, in punto di analiticità e sufficienza della contestazione disciplinare a fondare l’irrogazione della sanzione da parte del datore di lavoro.
Il Supremo Giudice del Lavoro nella richiamata pronuncia ha, invero, ribadito che “La L. n. 300 del 1970, art. 7 non prevede, nell'ambito del procedimento disciplinare, l’obbligo per il datore di lavoro di mettere a disposizione del lavoratore, nei cui confronti sia stata elevata una contestazione di addebiti di natura disciplinare, la documentazione aziendale relativa ai fatti contestati”, restando egli tuttavia obbligato, in base ai principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, “ad offrire in consultazione i documenti aziendali all'incolpato che ne faccia richiesta, laddove l’esame degli stessi sia necessario per predisporre un’adeguata difesa”.
L'assenza nel caso di specie di una simile richiesta da parte del lavoratore ricorrente, cui peraltro erano state rese note le fonti di accusa in sede di audizione personale, e, di contro, l'analiticità e puntualità della contestazione disciplinare elevata allo stesso da parte dell'azienda convenuta, hanno condotto la Corte investita a non accogliere i motivi dedotti in punto ed a rigettare il ricorso proposto.