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Una prima interpretazione della sentenza delle Sezioni Unite n. 24675/2017 (Cass. SS.UU. sent. 19/10

La recente sentenza n. 24675/2017 delle SS.UU. della Cassazione in materia di usura ha suscitato molto clamore tra gli interpreti. È necessario precisare che la sentenza è più complessa di quanto possa sembrare ad una prima lettura, ed una lettura superficiale potrebbe portare a conclusioni sbagliate. Indubbiamente viene espresso al punto 3.4.3. della sentenza un principio che non può essere disatteso, ma attenzione: non nega l'"usura sopravvenuta" ma esclude solamente l'automatica inefficacia del tasso ultra soglia.

Il principio di diritto espresso è il seguente: "Allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell'usura come determinata in base alle disposizione della L. 108/96, non si verifica la nullità o l'inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all'entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto".

Al punto 3.4.2. della sentenza di legge però che la ragione per cui il solo superamento del tasso soglia nel corso del rapporto non genererà automaticamente la nullità e inefficacia della clausola contrattuale.

La Corte spiega che la violazione del canone di buona fede non è riscontrabile nell'esercizio in sé considerato dei diritti scaturenti dal contratto, bensì nelle particolari modalità di tale esercizio in concreto, che siano appunto scorrette in relazione alle circostanze del caso. In questo senso, può allora affermarsi che, in presenza di particolari modalità o circostanze, anche la pretesa di interessi divenuti superiori al tasso soglia in epoca successiva alla loro pattuizione potrebbe dirsi scorretta ai sensi dell'art. 1375 c.c.; ma va escluso che sia da qualificarsi scorretta la pretesa in sé di quegli interessi, corrispondente al un diritto validamente riconosciuto dal contratto.

Ancora una volta, dunque, la Suprema Corte interviene nel contenzioso bancario imprimendo un ordine nuovo, di natura processuale, volto ad eliminare automatismi e a ripartire l'onere della prova. Il problema della sentenza è che tuttavia rischia di aver aperto nuovi e più complicati scenari: quali sono le particolari modalità, ovvero condotte, che in concreto, si devono ritenere scorrette in relazione alle circostanze del caso?

Sicuramente sarà necessario ricorrere a due istituti estremi (al diritto) che sono i limiti dell'autonomia contrattuale, e l'abuso del diritto, istituti sempre più indispensabili a delimitare l'ambito di operatività del diritto.

Resta comunque un nuovo ordine processuale: a chi l'onere della prova. Indubbiamente chi eccepirà la non debenza degli interessi per il sopraggiunto superamento del tasso soglia dovrà provare che le modalità con cui si è giunti a tale superamento possono, in concreto ritenersi scorrette, non in linea generale, ma in relazione alle circostanze del caso.

Da domani dovremo quindi cominciare ad esplorare nuovi confini probatori, che purtroppo, ancora una volta andranno a gravare sul contraente più debole.

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