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Trasferimento del minore in Italia senza il consenso del padre: è sottrazione internazionale (Cass.

Il minore affidato congiuntamente ad entrambi i genitori con “custodia primaria” alla madre presso la quale è collocato, secondo il provvedimento del giudice straniero, non può essere trasferito senza il consenso del padre in un Paese diverso da quello nel quale è abitualmente residente e in cui mantiene i legami con il genitore non collocatario.

Nell’ipotesi di dissenso di quest’ultimo, il trasferimento può avvenire soltanto con un provvedimento giudiziale.

La Corte di Cassazione con la sentenza del 13/10/2017 n. 24173 ha respinto il ricorso di una donna italiana che intendeva allontanare il minore dagli Stati uniti, sua residenza abituale, e luogo in cui viveva anche il padre.

Alla base della disputa, l’interpretazione di cui all’art. 3 della Convenzione dell’Aja del 1980 ratificata con la L. 15/01/1994 n. 64, che disciplina gli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori attraverso un sistema di cooperazione e reciprocità internazionale.

La coppia composta da un’italiana e uno statunitense aveva divorziato negli USA, Paese nel quale erano stati dati i provvedimenti relativi alla custodia del figlio minore.

Si trattava di un affidamento condiviso con collocazione prevalente presso la madre e una previsione di tempi di frequentazione del minore con il padre.

Durante una vacanza in Italia, la donna aveva deciso di non far ritorno negli USA contro il volere del padre del minore il quale si era rivolto, secondo la procedura prevista dalla Convenzione, al Tribunale per i minorenni di Milano, per ottenere un ordine di rientro immediato.

Il Tribunale aveva ordinato il rientro del minore, perché la madre avrebbe violato i diritti di custodia assegnati dall’autorità giudiziaria, il cui disposto conteneva espressamente l'obbligo per il genitore che intendesse trasferirsi all'estero, di rispettare un onere di notifica all'altro genitore, tenuto a comunicare il proprio eventuale dissenso.

Pertanto, il genitore collocatario, a fronte del diniego dell’altro genitore, non aveva il diritto di trasferire il minore dagli Stati Uniti.

Il procedimento in Italia si era chiuso con la dichiarazione di sottrazione internazionale sulla base del fatto che la “residenza abituale” del minore fosse negli USA, dove il minore era nato e aveva sempre abitato, radicandovi relazioni sociali, culturali e di amicizia.

La Convenzione si applica, infatti, al minore che ha la propria residenza abituale in uno Stato contraente immediatamente prima della violazione dei diritti di affidamento o di visita.

Il concetto di residenza abituale è stato interpretato dalla giurisprudenza come il luogo in cui il minorenne, per qualsiasi motivo e con una durevole e stabile permanenza, anche se di fatto, trova e riconosce il baricentro dei suoi legami affettivi, non solo parentali, originati dalla sua quotidiana vita di relazione (Cass. Civ. 18614/2008).

Occorrono quindi due elementi:

1. la presenza duratura del minore sul territorio di uno degli stati membri;

2. che in quel luogo ci sia il centro dei legami affettivi.

Il tribunale milanese non aveva ritenuto opportuna l'audizione del figlio minore richiesta dalla madre, perché l’ascolto avrebbe esposto il minore ad un pericoloso conflitto di lealtà.

Inoltre, non sussistevano le circostanze ostative previste dall'art. 13, lett. b) della Convenzione, ossia il fondato rischio per il minore di trovarsi esposto, una volta rientrato nel suo paese di residenza, a pericoli fisici e psichici o comunque di trovarsi in una condizione intollerabile.

Rivolgendosi alla Corte di Cassazione la donna ha sostenuto che il trasferimento del bambino in Italia era lecito alla luce della “custodia fisica” del figlio attribuita alla madre, mentre l'ex marito avrebbe avuto solo il diritto di visita.

Tale diritto di custodia avrebbe consentito alla madre di decidere anche l'allontanamento del minore dalla residenza abituale, non potendo limitarsi la libertà personale dei genitori titolari di tale diritto.

La Corte ha ritenuto infondato questo motivo di ricorso.

In realtà, secondo la Corte, il provvedimento esaminato dal Tribunale conteneva l’affidamento condiviso ad entrambi i genitori seppur con custodia primaria alla madre presso la quale il minore era collocato. Tale custodia non prevedeva il potere di trasferire la residenza dello stesso su decisione unilaterale del genitore collocatario, e anzi conteneva l’obbligo espresso di ottenere il consenso dell’altro genitore per la permanenza all’estero del figlio.

Il secondo motivo di ricorso, dichiarato inammissibile, censurava la decisione del Tribunale di non ascoltare il minore coinvolto nel procedimento, e la mancata disposizione di una consulenza tecnica d'ufficio sui rischi e i pregiudizi derivanti dal rientro del minore negli USA.

Alla luce del disagio psicologico del minore il Tribunale avrebbe avuto un preciso obbligo di accertamento, mentre la problematica era stata ricondotta semplicemente alla madre.

La Corte ha ritenuto inammissibile il motivo di censura, poiché il Tribunale ha compiuto un accertamento di fatto insindacabile in sede di giudizio di legittimità, fornendo comunque ampia spiegazione sia dell'omesso ascolto sia della non necessità di una consulenza tecnica.

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