Amministratore o singolo condomino: chiarimenti sulla legittimazione processuale (Cass. Civ. sez. II
La legittimazione processuale spetta ai singoli condomini solo se, nella lite giudiziaria, vi è un loro interesse diretto e non mediato.
E’ quanto chiarito dalla Corte di cassazione, sez. II Civile, nella sentenza n. 2411/18, depositata il 31/01/2018.
Nel caso di controversia giudiziaria in cui l’interesse in discussione sia direttamente collettivo e solo mediatamente individuale, è soltanto l’amministratore ad essere legittimato ad agire in giudizio in nome e per conto del Condominio. Nella vicenda in oggetto, una farmacista aveva esercitato in giudizio l’azione di tutela possessoria nei confronti del Condominio convenuto, in quanto l’amministratore di quest’ultimo aveva posto dei colonnotti ed una sbarra elettrica al posto delle preesistenti fioriere, impedendo l’accesso nell'area condominiale, ai clienti della farmacia. La domanda possessoria, accolta dal giudice di prime cure, veniva poi appellata, con successo, non dal Condominio bensì da due condomini. Avverso detta sentenza la farmacista ha proposto ricorso in Cassazione. Nell'esaminare il caso in esame, la Suprema Corte, valutate le diverse pronunce giurisprudenziali susseguitasi, relative alla legittimazione dei singoli condomini di far valere i propri interessi esclusivi in sede di impugnazione di una delibera condominiale, ha ritenuto che, il principio secondo il quale, nel condominio di edifici, l’esistenza dell’organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di difendere i diritti connessi alla loro partecipazione, non vada applicato alle controversie dirette a soddisfare solo le esigenze collettive del condominio.
Dunque, secondo la Cassazione, nelle controversie in cui non vi sia una correlazione immediata con l’interesse esclusivo di uno o più partecipanti, ma solo con un interesse direttamente collettivo e solo mediatamente individuale, la legittimazione ad agire in giudizio e ad impugnare, spetta, ex art. 1131 c.c., esclusivamente all'amministratore condominiale, sicché la mancata impugnazione della sentenza da parte di quest’ultimo, esclude la possibilità per il singolo condomino di impugnarla. Nella controversia di specie, assume rilievo la sentenza di primo grado, in cui il giudice adito ha individuato l’interesse qualificante delle parti, concentrando l’attenzione sulla attività di spoglio attuata dall'amministratore in base ad autorizzazione o delibera assembleare. Su tale presupposto, il giudice di primo grado ha riconosciuto la legittimazione passiva dell’amministratore quale autore materiale dello spoglio e del Condominio, in persona del nuovo amministratore, ritenendo, inoltre, configurabile come attività di spoglio quella realizzata dall'amministratore, seppur in attuazione di una delibera condominiale comunque efficace, consistente nell'imporre una limitazione all'accesso nel piazzale condominiale. Tenendo presente la qualificazione di azione possessoria data dal giudice di merito, secondo la Cassazione spettava solo al Condominio la legittimazione ad impugnare la sentenza di primo grado, appartenendo esclusivamente a quest’ultimo la paternità dell’iniziativa denunciata, senza immediati riflessi per i diritti dei singoli. In effetti, secondo la Suprema Corte, i singoli condomini non erano coinvolti dalla richiesta di parte ricorrente, la quale aveva contestato l’operato dell’amministratore, attivatosi in base alla delibera condominiale; pertanto, i due condomini appellanti, estranei al giudizio di primo grado, non avevano titolo per proporre appello, potendo far valere in altra più appropriata sede, i rispettivi diritti di comproprietari e compossessori.