Danno da tardata assunzione va commisurato alle retribuzioni perdute (Cass. Civ. sez. III ord. 13/04
Con l'ordinanza n. 9193 del 13/04/2018, il Supremo Giudice Civile dà nuovo vigore all'ormai risalente ma consolidato principio giurisprudenziale che vede il datore di lavoro che ritardi ingiustificatamente l’assunzione del lavoratore – vincitore di un concorso da esso indetto – obbligato al risarcimento del danno da questi subito, ravvisabile nelle retribuzioni perdute a far data dalla domanda di assunzione (da ultimo Cass. Civ. SS.UU. 04/04/2017 n. 8687).
Occasione della pronuncia, il ricorso presentato da una società (Poste Italiane Spa) contro la decisione del Giudice d’Appello di confermare la sua condanna al risarcimento del danno patito da una lavoratrice – vincitrice di un concorso indetto dalla società ricorrente - a causa della ritardata immissione in servizio, quantificato nelle retribuzioni che quest’ultima avrebbe percepito se fosse stata tempestivamente assunta.
Nel respingere integralmente tutti i motivi di gravame formulati dalla società ricorrente, ed, in particolare, quello con cui la stessa sostiene che il danno patito in conseguenza della mancata o ritardata assunzione non possa parametrarsi alle retribuzioni perse, poiché questo presuppone l’esistenza, al momento della domanda, di un rapporto di lavoro in essere, ma solo a tutti i pregiudizi patrimoniali e non patrimoniali conseguente alla violazione del diritto all'assunzione tempestiva (quali, ad esempio, le spese sostenute per intraprendere altre attività o le conseguenze psicologiche dipendenti dall'ingiusta condizione di assenza di occupazione), la Corte Suprema delinea i confini della questione di diritto portata alla sua attenzione.
Ella osserva che, posto che il “danno”, in linea generale, è la perdita dell’id quod interest, ovvero di una utilità, non è irragionevole sostenere che in caso di utile collocamento nella graduatoria del concorso, la lavoratrice avrebbe percepito la retribuzione, e che quindi la sua ingiustificata esclusione ha provocato un danno ex art. 2043 c.c. pari a quest’ultima.
Per quanto nel caso di specie il diritto leso dal fatto illecito fosse il diritto all'assunzione, e non quello alla retribuzione – secondo la distinzione teorica contenuta nel precedente giurisprudenziale invocato dalla società ricorrente a cui la Corte non ha ritenuto di dare continuità –, esso ha provocato come conseguenza la perduta possibilità di guadagnare, e il danno da perduta possibilità di guadagnare, quale lucro cessante, va commisurato alle retribuzioni perdute.
Sulla scia di un risalente e cospicuo orientamento giurisprudenziale, la Corte di Cassazione ha concluso affermando che “il datore di lavoro, che ritardi ingiustificatamente l’assunzione del lavoratore, è tenuto a risarcire il danno che questi a subito durante tutto il periodo in cui si è protratta l’inadempienza datoriale, a far data dalla domanda di assunzione. Tale pregiudizio deve essere determinato, senza necessità di una specifica prova da parte del lavoratore, sulla base del complesso retributivo che il richiedente avrebbe potuto conseguire, ove tempestivamente assunto, salvo che il datore di lavoro adempia l’onere, interamente gravante su di lui, di provare che, nelle more, il lavoratore abbia avuto altra attività lavorativa”.