Vanno restituiti alla fidanzata i conferimenti per la costruzione della casa destinata alla conviven
Devono considerarsi ripetibili quei conferimenti, di tempo e denaro, con i quali l'ex fidanzata ha contribuito alla costruzione della casa nella quale avrebbe poi convissuto con il compagno. E ciò anche qualora quei conferimenti siano andati di fatto a integrare un bene che è entrato, per le regole che disciplinano i modi di acquisto della proprietà, nella proprietà esclusiva dell'ex partner.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, III sezione civile, nell'ordinanza n. 14732/2018 pronunciandosi su una vicenda originata dalla cessazione di una famiglia di fatto.
Ad agire in giudizio era stata l'ex affinché fosse accertata la consistenza del patrimonio comune per dividerlo in parti uguali. In particolare, la donna rappresentava come tra lei e il compagno fosse intercorsa una lunga relazione sentimentale sfociata poi in una convivenza.
Prima dell'instaurazione della convivenza, quando i due vivevano ancora separatamente ed erano semplicemente fidanzati, entrambi avevano contribuito con denaro e lavoro personale alla costruzione della loro futura casa di abitazione, eretta su un terreno appartenente al compagno e dunque divenuta di sua esclusiva proprietà stante il principio dell'accessione.
Il partner, costituitosi in giudizio, oltre a rivendicare la sua proprietà sulla casa essendo suo il terreno, riteneva che le contribuzioni al menage familiare, in denaro o in lavoro, fossero state effettuate a titolo gratuito dalla ex e fossero irripetibili, poiché prestate in adempimento di un dovere morale e che pertanto nulla le doveva.
La domanda di arricchimento senza causa promossa dall'attrice viene accolta in appello, con riguardo al contributo alla costruzione dell'abitazione: si ritengono non riconducibili nell'alveo delle obbligazioni naturali i conferimenti connessi alla realizzazione della casa i quali erano andati a totale vantaggio di uno due partner non essendovi all'epoca neppure un rapporto di convivenza tra i due, intervenuto solo in seguito.
La Corte d'Appello rilevava come le consistenti dazioni andassero oltre la soglia di proporzionalità e adeguatezza rispetto ai mezzi di ciascuno dei partners. L'ex compagno avrebbe dunque dovuto restituire tutti i conferimenti in denaro per i quali si era raggiunta la prova e alla compagna andava riconosciuta anche una somma a titolo di indennità per le ore di lavoro prestate negli anni per la costruzione della casa.
Contro tale decisione agisce in Cassazione, in luogo dell'ex deceduto nelle more e in qualità di sua erede, la donna che questi aveva sposato dopo il termine della precedente relazione, ma il suo ricorso viene respinto.
Non solo per la Cassazione è corretto inquadrare la fattispecie nell'arricchimento senza causa e non nell'art. 936 c.c. (Opere fatte da un terzo con materiali propri), ma neppure può sostenersi che il fidanzamento in assenza di convivenza more uxorio non sia giusta causa di arricchimento nonostante la pacifica volontarietà del trasferimento di utilità economiche.
Si tratta, secondo gli Ermellini, di questioni non infrequenti, anche se non idoneamente disciplinate o risolte sul piano normativo, che concernono le conseguenze economiche dello scioglimento della famiglia di fatto, o comunque dei principi applicabili allorché cessino rapporti sentimentali stabili, in relazione alla sorte delle spese sostenute in vista della futura convivenza.
I principi da applicare sono stati espressi dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 11330/2009) secondo cui l'azione generale di arricchimento ha come presupposto "la locupletazione di un soggetto a danno dell'altro che sia avvenuta senza giusta causa".
Si ritiene possibile configurare l'ingiustizia dell'arricchimento da parte di un convivente "more uxorio" nei confronti dell'altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza, il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto, e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza.
Tuttavia, si puntualizza come, all'interno dell'azione di indebito arricchimento, "la volontarietà del conferimento sia idonea a escludere il diritto alla ripetizione di quanto spontaneamente pagato in quanto essa è spontaneamente indirizzata ad avvantaggiare il soggetto in cui favore viene effettuato il conferimento, ovvero in quanto essa sia una volontaria attribuzione patrimoniale a fondo perduto in favore di una determinata persona, che il conferente intende sostenere o aiutare economicamente in una sua attività o iniziativa, o esigenza".
Nel caso di specie, il conferimento di denaro e del proprio tempo libero, impegnato in ore di lavoro per la costruzione della casa che doveva essere la dimora comune, è stato senz'altro volontario da parte della ex ed effettuato peraltro quando essa ancora non era convivente, ma proprio in vista della instaurazione della futura convivenza.
Tuttavia, sottolineano i giudici, questo non è stato effettuato dalla donna in favore esclusivo del partner, per aiutarlo a costruire la sua casa, bensì in favore ed in vista della costruzione di un futuro comune, cioè per costruire un immobile che poi avrebbero goduto insieme, all'interno del loro rapporto.
E ciò di certo non viene meno per il fatto che, in ragione del principio dell'accessione, quel conferimento sia andato di fatto a integrare un bene entrato nella proprietà esclusiva dell'ex partner, poiché la volontarietà resta indirizzata alla formazione e poi alla fruizione comune di un bene.
Quindi, sciolto il rapporto sentimentale e accantonato il progetto stesso di vita in comune, al convivente che non si è preventivamente tutelato in alcun modo non potrà essere riconosciuta la comproprietà del bene che ha collaborato a costruire con il suo apporto economico e lavorativo, ma questi "avrà diritto a recuperare il denaro che ha versato e ad essere indennizzato per le energie lavorative impiegate volontariamente, per quella determinata finalità, in applicazione e nei limiti del principio dell'indebito arricchimento".
Pertanto, i contributi, in lavoro o in natura, volontariamente prestati dal partner di una relazione personale per la realizzazione della casa comunque non sono prestati a vantaggio esclusivo dell'altro partner e pertanto non sono sottratti alla operatività del principio della ripetizione di indebito.
L'applicabilità della disciplina dell'art. 2041 c.c. non è esclusa neppure dal richiamo al principio delle obbligazioni naturali: poiché i due all'epoca erano solo fidanzati, tali prestazioni esulano dall'adempimento di obbligazioni inerenti al rapporto di convivenza.
In più, la sentenza impugnata ha rilevato come i conferimenti in denaro e in lavoro per la costruzione della casa comune fossero ben superiori al normale tenore di vita della donna, operaia, proprio perché finalizzati non ad una liberalità e non al normale contributo alle spese ordinarie della convivenza, ma a realizzare quella che avrebbe dovuto essere la casa della coppia.
I conferimenti effettuati si collocherebbero quindi comunque al di sopra della soglia che il giudice di merito deve individuare nel rispetto dei principi di proporzionalità ed adeguatezza (cfr. Cass. n. 1266/2016).