Cane malato? Si applica la normativa in materia di "vizi del bene compravenduto"Per gli “E
Di pochi giorni fa la notizia dell'approdo in Commissione del disegno di legge recante il progetto di codice delle disposizione per la tutela degli animali d'affezione, il cui primo articolo prevede il riconoscimento in capo agli animali di affezione dello status di “esseri senzienti” e il “diritto al benessere” (secondo le proprie caratteristiche biologiche).
Quantomai "tempestiva" la sentenza in commento con la quale la Suprema Corte dimostra di pensarla in maniera totalmente difforme.
Nel decidere una fattispecie piuttosto singolare, la Cassazione ha infatti colto l'occasione per rafforzare la divisione (sempre più in crisi) fra titolare di diritti e oggetto di diritti (altrui), marcando il confine fra “essere senziente” e “soggetto di diritto”.
Nel caso di specie era avvenuto che l'acquirente di un cane avesse lamentato un “vizio del bene compravenduto”, vizio consistente in una patologia congenita dell'animale.
Il compratore aveva dunque agito verso il venditore, risultando però soccombente sia in primo che in secondo grado sul presupposto della tardività della denuncia del vizio.
Il thema decidendum era dunque quello dell'applicabilità al contratto in questione del Codice del Consumo (il quale, come noto, consente di denunciare i vizi della cosa oltre lo stringente termine di otto giorni codicistico).
L'analisi della Cassazione ha quindi mosso dalla ricostruzione del rapporto fra i concetti di “cosa”, “bene giuridico” e “essere senziente”, giungendo – dopo un'ampia ricostruzione della legislazione pubblicistica volta a salvaguardare la posizione degli animali (o meglio degli “altri” animali, dovrebbe aggiungersi in un'ottica non antropocentrica), alla duplice drastica conclusione che:
- “va tuttavia precisato che la disciplina pubblicistica che appresta tutela agli animali non rende comunque questi titolari di diritti”;
- “L'animale per quanto sia un essere senziente, non può essere soggetto di diritti per la semplice ragione che è privo della c.d. “capacità giuridica” (che si definisce appunto come la capacità di essere titolari di diritti e di obblighi)”.
Al di là della petizione di principio in cui sembra incorrere l'affermazione decisiva della Cassazione (in sostanza, parafrasando: gli animali non hanno diritti perché non hanno la capacità di avere diritti), e tornando al tema civilistico sotteso alla questione, può notarsi come la pronuncia, svolta questa ampia digressione, torni bruscamente sul tema dell'applicabilità del Codice del Consumo alla compravendita di animali di affezione. E in tale contesto essa chiarisce come l'art. 1496 c.c. (rubricato “Vendita di animali”) debba interpretarsi alla luce del Codice del Consumo, il quale si applica a tutte le compravendite di beni giuridici e, dunque, anche di animali d'affezione.
E ciò in quanto “Esiste nell'attuale assetto normativo della disciplina della compravendita una chiara preferenza del legislatore per la normativa del Codice del Consumo relativa alla vendita ed un conseguente ruolo sussidiario assegnato alla disciplina codicistica”.
Su questi presupposti la Cassazione ha dunque ritenuto rinviato al giudice d'appello, il quale dovrà conformarsi ai seguenti principi di diritto:
- “la compravendita di animali da compagnia o d'affezione, ove l'acquisto sia avvenuto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata dal compratore, è regolata dalle norme del Codice del Consumo, salva l'applicazione delle norme del codice civile per quanto non previsto.”;
- “nella compravendita di animali da compagnia o d'affezione, ove l'acquirente sia un consumatore, la denuncia del difetto della cosa venduta è soggetta, ai sensi dell'art. 132 del codice del consumo, al termine di decadenza di due mesi dalla data di scoperta del difetto”.