L'illecita segnalazione alla Crif comporta un risarcimento solo ove il danno sia provato dall’in
La segnalazione illegittima alla Crif non fa scattare automaticamente il diritto alla liquidazione del danno patrimoniale: spetta a colui che chiede il ristoro, la prova del pregiudizio economico sofferto.
E’ quanto precisato dalla Cassazione Civile sez. I nell’ordinanza n. 207/19.
Nella vicenda in esame, erano state erroneamente aperte due posizioni debitorie a carico di una società, con prelievo di due ratei mensili, dal conto corrente bancario. La società aveva chiesto un finanziamento ad una banca, che tuttavia le era stato negato, in quanto risultava segnalata alla Crif.
In conseguenza di ciò, la società si è rivolta al giudice chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.
Il giudice di prime cure aveva riconosciuto solo una somma a titolo di danno non patrimoniale, escludendo che fosse stato provato il danno patrimoniale, come danno emergente e come lucro cessante, derivante dalla mancata concessione di finanziamento e mutuo. Avverso tale decisione, la società ha proposto ricorso per cassazione.
La Suprema Corte ha rilevato che, a norma del D.Lgs. n. 196/03, art. 15 e dell'art. 2050 c.c., grava sul soggetto che agisce per l'abusiva utilizzazione dei suoi dati personali, l'onere di provare il danno subito, riferibile al trattamento del suo dato personale.
Inoltre, come già chiarito dai giudici di legittimità: "In caso di illecito trattamento dei dati personali per illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi, il danno, sia patrimoniale che non patrimoniale, non può essere considerato "in re ipsa" per il fatto stesso dello svolgimento dell'attività pericolosa. Anche nel quadro di applicazione dell'art. 2050 c.c., il danno, e in particolare la "perdita", deve essere sempre allegato e provato da parte dell'interessato" (Cass. 25/01/2017, n. 1931) ed inoltre "In caso di illecito trattamento dei dati personali, nella fattispecie per illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi, il pregiudizio non patrimoniale non può mai essere "in re ipsa", ma deve essere allegato e provato da parte dell'attore, a pena di uno snaturamento delle funzioni della responsabilità aquiliana. La posizione attorea è tuttavia agevolata dall'onere della prova più favorevole, come descritto all'art. 2050 c.c., rispetto alla regola generale del danno aquiliano, nonché dalla possibilità di dimostrare il danno anche solo tramite presunzioni semplici e dal risarcimento secondo equità" (Cass. 05/03/2015, n. 4443).
Orbene, la Cassazione ha rilevato che la ricorrente non ha assolto l'onere probatorio nel rispetto di cui all'art. 2050 c.c., deducendo la compromissione dell'accesso al credito, con conseguente impossibilità di dare seguito ai propri progetti di espansione e al consolidamento aziendale.
Dunque, il giudice di merito ha ritenuto che non fosse stata fornita la prova del danno patrimoniale, anche perché, anche in sede di libero interrogatorio del legale rappresentante, non erano emerse prove a supporto della domanda. La società ha sostenuto che le dichiarazioni del legale rappresentante sarebbero state interpretate erroneamente, ma senza dimostrare il pregiudizio subìto. In conclusione, non essendo provata la sussistenza del danno economico patito, onere che incombeva sulla ricorrente, la Cassazione ha rigettato il ricorso.