Colpa medica: l'esito assolutorio del giudizio travolge le statuizioni civili (Cass. Pen. sez. I
Per la Cassazione, qualora la sentenza assolva gli imputati indicando solo il lieve grado di colpa accertato in giudizio, deve ritenersi applicata ultrattivamente e in bonam partem la legge Balduzzi.
Qualora i giudici di merito assolvano gli esercenti la professione sanitaria con la formula "perché il fatto non costituisce reato", indicando solo il lieve grado di colpa accertato in giudizio, deve ritenersi che i giudici abbiano applicato ultrattivamente e in bonam partem la legge Balduzzi che aveva dato luogo a una abolitio criminis parziale degli artt. 589 e 590 c.p.-
Tale sentenza assolutoria di merito travolge anche le statuizioni civili che, anziché essere confermate, devono essere revocate dal giudice.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, IV sezione penale, nella sentenza n. 5892/2019 pronunciandosi sul ricorso di un Responsabile civile ASL contro la sentenza che aveva assolto due dipendenti dell'ASL, dal reato di omicidio colposo contestato a seguito del decesso di una paziente con la formula "perchè il fatto non costituisce reato".
Il giudice a quo aveva, invece, confermato le statuizioni civili ritenendo che l'omessa effettuazione di accertamenti diagnostici, suggeriti dalla specifica storia personale e familiare della paziente, ma non indicati in nessuna linea guida, evidenziava la sussistenza di un profilo di colpa di grado lieve, penalmente irrilevante.
In Cassazione l'ASL, quale responsabile civile, sostiene che, nel caso in cui il processo penale si concluda con una assoluzione, salvo i casi di cui all'art. 578 c.p.p., il giudicante non può statuire sulla domanda risarcitoria. Pertanto, nel mandare assolte le imputate, la Corte territoriale non avrebbe potuto condannarle in solido al risarcimento dei danni.
Gli Ermellini rammentano, in prima battuta, come la giurisprudenza di legittimità, nel delineare i rapporti intercorrenti tra azione penale e azione civile nei gradi di impugnazione, ha sottolineato lo stretto collegamento che sussiste tra le due azioni.
In particolare l'art. 574 c. 4 c.p.p., estende al capo civile gli effetti dell'impugnazione proposta dall'imputato nei confronti della decisione di condanna; con la precisazione che la decisione nel giudizio di impugnazione sulla responsabilità penale si riflette automaticamente sulla decisione relativa alla responsabilità civile.
In tema di responsabilità sanitaria, la Cassazione sintetizza l'evoluzione del quadro normativo a partire dalla legge di conversione del D.L. Balduzzi, a norma della quale: "L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve".
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha sottolineato come tale norma avesse operato una abolitio criminis parziale degli artt. 589 e 590 c.p., avendo ristretto l'area penalmente rilevante individuata dalle predette norme incriminatrici, giacché oggi vengono in rilievo unicamente le condotte qualificate da colpa grave.
Il tema della responsabilità dell'esercente la professione sanitaria, per i reati di omicidio colposo e di lesioni colpose, è poi stato oggetto di un ulteriore intervento normativo, a opera della Legge Gelli-Bianco (n. 24/2017): l'art. 590 sexies c.p., da questa introdotto, prevede che qualora l'evento lesivo si sia verificato in ambito sanitario, a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida ovvero le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che risultino adeguate alle specificità del caso concreto.
Componendo un contrasto insorto all'indomani dell'entrata in vigore della novella del 2017, le SS.UU. hanno chiarito che l'art. 590 sexies c.p. prevede una causa di non punibilità applicabile ai fatti inquadrabili nel paradigma dell'art. 589 o di quello dell'art. 590 c.p., operante nei soli casi in cui l'esercente la professione sanitaria abbia individuato e adottato linee guida adeguate al caso concreto e versi in colpa lieve da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse.
In particolare, secondo diritto vivente, la suddetta causa di non punibilità non è applicabile ai casi di colpa da imprudenza e da negligenza, né in ipotesi di colpa grave da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse.
Nel caso di specie, alle imputate sono stati contestati profili di colpa per "imprudenza, imperizia e negligenza", in riferimento al reato di cui all'art. 589, c.p., così determinando l'aumento del grado di malignità e aggressività della neoplasia che affliggeva la paziente. Il fatto si è verificato a giugno del 2011.
Nell'assolvere le donne con la formula "il fatto non costituisce reato", la Corte di Appello non ha chiarito se ha ritenuto applicabile il decreto Balduzzi, in quanto norma più favorevole, seppure abrogata dalla legge n. 24/2017, né ha indicato il profilo di colpa generica riferibile alle prevenute. I giudici si sono limitati a chiarire che si trattava di una colpa di grado lieve.
Secondo il Collegio, la formula assolutoria indicata nel dispositivo e la stessa mancata specificazione della natura del profilo di colpa generica riferibile alla condotta omissiva delle imputate, sono evenienze che inducono a ritenere che la Corte di Appello abbia inteso applicare ultrattivamente, in bonam partem, il citato art. 3 c. 1 della legge di conversione della Balduzzi, disposizione che aveva dato luogo ad una abolitio criminis parziale degli artt. 589 e 590 c.p.-
Pertanto, secondo la Cassazione, la sentenza in esame non può che essere qualificata come sentenza assolutoria di merito: la Corte di Appello, in ragione del lieve grado di colpa accertato in giudizio, ha reputato che la condotta delle imputate rientrasse nell'ambito applicativo dell'esonero di responsabilità, per colpa lieve, sancito dall'art. 3 L. n. 189 del 2012.
La Cassazione conviene con l'ASL ricorrente nella parte in cui, nel mandare assolte le odierne imputate con la formula perché il fatto non costituisce reato, il giudice a quo ha erroneamente confermato le statuizioni civili che erano contenute nella sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale. Pertanto, si impone l'annullamento senza rinvio del provvedimento limitatamente alla conferma delle statuizioni civili.