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E' ammissibile il concorso colposo nel delitto doloso? (Cass. Pen. sez. IV sent. 14/02/2019 n. 7

La sentenza in esame affronta uno dei temi maggiormente enigmatici della dottrina penalistica: la astratta ammissibilità del concorso colposo nel delitto doloso.

La dottrina moderna e la giurisprudenza di legittimità si sono più volte occupati del tema: la sentenza in commento offre spunti innovativi e profili di novità rispetto al recente passato sul tema. In verità sembra porsi in aperta rottura con la giurisprudenza degli ultimi anni.

Il fatto storico da cui prende le mosse la sentenza vede protagonisti una serie di medici e responsabili della questura per avere negligentemente operato: il medico di famiglia che aveva redatto il primo certificato anamnestico con cui l’omicida aveva successivamente chiesto e ottenuto nuovamente il porto d’armi e acquistato una pistola; il medico della polizia di stato che aveva effettuato il successivo certificato volto ad ottenere il porto d’armi; i responsabili della questura che avevano rilasciato il porto d’armi senza aver effettuato un accurato controllo sdi a carico del richiedente. Quest’ultimo, una volta ottenuto il porto d’armi, avendo falsamente attestato l’assenza di qualsivoglia problema psichico al medico di famiglia, si recava successivamente in un’armeria, comprava la pistola e si recava presso della sede Regione Umbria dove cagionava la morte di due dipendenti regionali. Successivamente si toglieva la vita, gettandosi dalla finestra.

La questione nasce dall'impugnazione in sede di giudizio di legittimità da parte di un medico di famiglia condannato in grado di appello (assolto per contro in primo grado) a titolo di cooperazione colposa nell'omicidio volontario da parte del suo paziente (poi suicida).

L’originaria imputazione vedeva il medico di famiglia (ricorrente in Cassazione nella sentenza in commento) imputato di una serie di reati:

a) per il fatto p.p. dagli artt. 41 e 589 c.p. per aver con la sua condotta colposa, con apporti causali indipendenti, concorso nell'omicidio doloso commesso dallo Z., nonché di aver cagionato sempre per colpa la sua morte;

b) del reato di cui all'art. 481 c.p. in relazione alle false attestazioni contenute nel certificato anamnestico;

c) del reato p.p. dagli artt. 48 e 480 c.p. per aver indotto in errore il medico della Polizia di Stato ai fini del rilascio del certificato di idoneità per il rilascio del porto d’armi.

Ebbene, in primo grado il giudice di prime cure aveva ritenuto insussistente la condotta del medico di famiglia e assolveva lo stesso dall'imputazione di cui al capo a) perché il fatto non sussiste. Assolveva altresì il medico dall'imputazione di cui al capo b) perché il fatto non costituisce reato e da quella di cui al capo c) per non avere commesso il fatto.

Già nella motivazione del giudice di primo grado viene affrontato il tema della astratta ammissibilità del concorso colposo nel delitto doloso: nella motivazione infatti il giudice rilevava che agli imputati era stata contestata la sussistenza della fattispecie plurisoggettiva della cooperazione colposa, secondo la ricostruzione teorica effettuata dalla sentenza della IV Sezione della Corte di Cassazione (la medesima sezione della sentenza in commento) n. 4107 del 2008. Il giudice dunque affermava di condividere sul piano dogmatico la ammissibilità del concorso colposo nel delitto doloso e pronunciava sentenza assolutoria, anche in relazione al suicido dello Z. ritenendo che il suicidio non è un delitto colposo punibile. Sosteneva poi, che anche volendo qualificare al condotta alla stregua della originaria imputazione e cioè a norma degli artt. 41 e 589 c.p., si doveva pervenire ad esito assolutorio in ogni caso perché la condotta del medico non aveva contribuito sul piano della causalità materiale né al verificarsi degli eventi di danno in relazione alle dipendenti della Regione umbra, né rispetto al suicidio dello Z.- Anche in relazione alle altre condotte contestate riteneva poi di dover assolvere il medico curante poiché dall'istruttoria dibattimentale era stata ampiamente comprovata al condotta ingannatoria dello Z. che veniva ad escludere ogni profilo di addebitabilità delle condotte al medico.

A fronte della sentenza di assoluzione proponevano appello sia il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello, sia il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ritenendo che nella vicenda dovesse farsi corretta applicazione delle regole di cui agli artt. 40 e 41 c.p. e non delle regole di cui al concorso di reati a norma degli artt. 110 e 113 c.p.-

La Corte di Appello di Perugia, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava il medico curante responsabile del reato di cui al capo a) per avere concorso, con la sua condotta colposa, agli omicidi dolosi commessi dallo Z. nei confronti delle due donne, condannandolo ad una provvisionale immediatamente esecutiva in favore della parti civili. Confermava invece la pronuncia assolutoria del Tribunale sia in relazione alla morte dello Z. contestata al capo a) che a quella avente ad oggetto i capi b) e c).

L’imputato a mezzo del difensore di fiducia impugnava pertanto la sentenza di condanna con ricorso per Cassazione con una serie articolata di motivi. In particolare si duole della errata applicazione della legge penale in relazione agli artt. 40, 42 c. 2, 110 e 113 c.p. evidenziando che la Corte distrettuale, nell'affermare la sua responsabilità penale per gli omicidi dolosi commessi da Z. in danno delle dipendenti della regione “ha surrettiziamente applicato l'art. 113 c.p. ritenendo, così, configurabile l'istituto di elaborazione giurisprudenziale del c.d. concorso colposo nel reato doloso altrui, pur a fronte dell'orientamento dottrinario, pressoché unanime, che depone in senso contrario. Sostiene che il principio di tipicità sotteso alla disciplina dell'istituto del concorso di persone nel reato, le cui forme di estrinsecazione sono tassativamente indicate negli artt. 110 e 119 c.p., risulta ostativo alla ipotizzata cooperazione colposa tra le condotte del medico e del personale della Questura negli omicidi commessi dallo Z."-

Inoltre il tenore letterale dell'art. 110 c.p. che si riferisce al concorso «di più persone nel medesimo reato» legittima l'accoglimento di una concezione unitaria della partecipazione criminosa, il che implica la necessità di imputare a tutti i concorrenti il fatto illecito in base al medesimo titolo soggettivo. Critica la costruzione del dolo come atteggiamento soggettivo che contiene in sé la colpa avallata da tale impostazione teorica. Evidenzia altresì che l'art. 42 c. 2 c.p. non contempla tale ipotesi di concorso atteso che l'art. 113 c.p. si riferisce alla sola cooperazione nel delitto colposo e non anche alla cooperazione colposa nel delitto.

Con altro motivo evidenziava peraltro la assoluta carenza della motivazione del capo della sentenza relativo alla sussistenza del giudizio controfattuale ritenuto sussistente sia in termini di prevedibilità che in termini di evitabilità degli eventi omicidiari.

Procuratore Generale (e parti civili), per contro, si opponevano all'accoglimento del ricorso, chiedendo in subordine la rimessione della questione alle SS.UU.-

Così brevemente riassunta la vicenda, la sentenza in commento offre una compiuta analisi dello stato della giurisprudenza di legittimità e della dottrina italiana in tema di cooperazione colposa e della astratta ammissibilità del concorso colposo nel delitto doloso.

La corte, infatti, nell'esaminare il primo motivo di ricorso dell’imputato, ripercorre la dogmatica e la giurisprudenza di legittimità sul tema della stratta ammissibilità del concorso colposo nel delitto doloso.

In primo luogo ripercorre la querelle tra dottrina classica da sempre contraria alla ammissibilità del concorso colposo nel delitto doloso e le elaborazioni teoriche più evolute. Secondo la dottrina classica non si può ritenere sussistente il concorso di persone nel reato, a norma dell’art. 110 c.p., qualora la realizzazione pluripersonale del fatto sia accompagnata da titoli soggettivi diversi dei partecipi. Tale dottrina si fonda sul concetto di unitarietà del reato concorsuale, che si rifletta in un’esigenza di omogeneità dell’elemento psicologico.

Per contro le teorie più “all'avanguardia” ritengono comunque ammissibile il concorso colposo nel delitto doloso, rileggendo in termini critici la dottrina classica ed evidenziando come "l'analisi delle norme che disciplinano l'istituto del concorso di persone nel reato chiariscono che il principio di unitarietà della responsabilità penale dei concorrenti è limitato all'esigenza che i partecipi contribuiscano alla stessa offesa tipica sotto un profilo essenzialmente causale, senza che ciò comporti alcuna conseguenza in ordine alla punibilità, al titolo di reato e alla forma dell'elemento psicologico. Si afferma che l'unità del reato concorsuale non potrebbe infatti intendersi né come uguale punibilità estesa a tutti i concorrenti (sia per quanto riguarda l'anche il quantum della pena) né come titolo di responsabilità (sub specie elemento soggettivo doloso, colposo, preterintenzionale) né, infine, come identità del nomen iuris della fattispecie attribuita ai compartecipi”. A sostegno di tali affermazioni ricordano i principi delineati dagli artt. 111e 112 c.p., dall’art. 117 e dal “concorso anomale” di cui all'art. 116 c.p.".

La IV Sezione della Corte di Cassazione ritiene di dover condividere astrattamente l’ammissibilità del concorso colposo nel delitto doloso. Ritiene infatti di dover superare l’orientamento dottrinale della unicità del titolo soggettivo dei partecipi, la Corte ritiene tuttavia di dover analizzare compiutamente le due ipotesi: si legge “Il fenomeno della partecipazione sinergica di più persone nel reato, sorretto da diversi atteggiamenti psicologici dei concorrenti, si estrinseca, per quanto qui di specifico interesse, nelle forme del c.d. concorso doloso nel delitto colposo e del c.d. concorso colposo nel delitto doloso, il cui discrimen va, in prima battuta, ravvisato nel carattere doloso o colposo della condotta che realizza direttamente l'offesa penalmente rilevante”.

Al fine di sgombrare il campo da possibili equivoci di ordine terminologico, si procede a tracciare una definizione generale delle due fattispecie ricavata da un procedimento di astrazione delle esemplificazioni che sono il frutto della elaborazione teorica. Il c.d. concorso doloso nel delitto colposo si verifica quando un soggetto, assecondando e sostenendo l'altrui condotta colposa, si rappresenta e accetta il possibile verificarsi - come conseguenza di essa - dell'evento tipico del delitto che non deve, invece, essere previsto dall'autore diretto della condotta colposa. Tale ipotesi ricorre, pertanto, nel caso in cui un soggetto strumentalizza con dolo l'altrui condotta colposa. La manualistica richiama, a titolo esemplificativo, l'ipotesi in cui un soggetto sostiene ed incita, con dolo, l'autista a guidare in modo pericoloso, rappresentandosi ed accettando il possibile verificarsi dell'uccisione di una persona presente sul luogo; rappresentazione che, invece, non ha l'autore diretto della condotta colposa; ed ancora, il caso in cui un soggetto sostituisce con un veleno la fiala che l'infermiera deve iniettare e quest'ultima trascura colposamente di rilevare la diversità di confezione e somministra la sostanza letale da cui deriva la morte del paziente.

Il c.d. concorso colposo nel delitto doloso ricomprende, invece, le ipotesi in cui un soggetto, pur potendo prevedere l'evento criminoso, pone in essere una condotta colposa che fornisce un contributo alla realizzazione di propositi delittuosi deliberati e concretizzati da parte dell'autore diretto il quale agisce in dolo. La dottrina richiama, a titolo esemplificativo, il caso in cui un soggetto, pur essendo a conoscenza del proposito omicida di una donna, sua conoscente, nei confronti del marito le consegna un veleno topicida nella erronea convinzione che serva ad uccidere i ratti mentre la donna lo utilizza proprio per uccidere il coniuge”.

Se non ci sono problemi di ordine teorico in ordine alla configurabilità del concorso doloso nel delitto colposo, non essendoci preclusioni né normative né concettuali, ben più controverso è l’istituto del concorso colposo nel delitto doloso, posta in dubbio da quegli orientamenti dottrinari che ritengono di dover seguire la tesi dell’unicità del titolo soggettivo della responsabilità concorsuale (e che la Corte ha già ritenuto di dover superare), ma soprattutto si pone in aperto contrasto con la norma di cui all’art. 42 c. 2 c.p. ovvero il principio generale, non derogabile della necessità di una espressa previsione di legge per ascrivere a titolo di colpa una qualunque fattispecie delittuosa. A ciò si aggiunga che l’art. 113 c.p., per come si desume dal tenore letterale della disposizione, limita la cooperazione colposa al solo delitto colposo, non permettendo di intendere che la condotta tipica possa essere dolosa.

A questo punto la Corte ricorda una serie di pronunce e di arresti giurisprudenziali che hanno regolato negli anni il tema del concorso colposo nel delitto doloso.

La prima sentenza ad ammettere la configurabilità dell’istituto, discostandosi dall'orientamento tradizionale, è la Sentenza Cass. Sez. IV n. 39680 del 22/11/2002. Ricorda poi la pronuncia n. 10795 del 14/11/2007 Sez. IV ed infine Cass. pen. Sez. IV Sent., 12/11/2008, n. 4107 secondo cui “Il concorso colposo è configurabile anche rispetto al delitto doloso, sia nel caso in cui la condotta colposa concorra con quella dolosa alla causazione dell'evento secondo lo schema del concorso di cause indipendenti, sia in quello della cooperazione colposa purché, in entrambi i casi, il reato del partecipe sia previsto dalla legge anche nella forma colposa e nella sua condotta siano presenti gli elementi della colpa, in particolare la finalizzazione della regola cautelare violata alla prevenzione del rischio dell'atto doloso del terzo e la prevedibilità per l'agente dell'atto del terzo. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto configurabile il concorso colposo dei medici che avevano consentito il rilascio del porto d'armi ad un paziente affetto da gravi problemi di ordine psichico, nei delitti dolosi di omicidio e lesioni personali commessi dal paziente il quale, dopo aver conseguito il porto d'armi, aveva con un'arma da fuoco colpito quattro passanti, ucciso la propria convivente ed una condomina, ed infine si era suicidato)”.

In definitiva, in queste sentenze la IV Sezione della Corte di Cassazione rileva come venga attribuito rilievo al fatto che l’elemento soggettivo doloso ricomprenderebbe al suo interno un profilo colposo, secondo la tesi del “non c’è dolo senza colpa”. Ora anche, volendo ammettere che il fatto doloso e il fatto colposo non diano luogo a fattispecie strutturalmente diverse, “sostenere che nel delitto doloso sia comunque riscontrabile la violazione di un dovere oggettivo di diligenza non significa ancora che il legislatore abbia voluto riconoscere il concorso colposo nel delitto doloso attraverso l’art. 113 c.p.”-

Orbene, la IV Sezione della Suprema Corte si addentra in una disamina articolata delle ragioni che hanno portato la sentenza Calabrò ad affermare la penale responsabilità dei soggetti: si legge “la Corte precisò che pur potendosi parlare di cooperazione colposa per quanto riguarda le condotte degli agenti ritenuti (o che potranno essere ritenuti) in colpa tutte queste condotte sono certamente indipendenti rispetto a quella dell’agente doloso”. Dunque, anche nel 2008 secondo la Suprema Corte non è quindi l’istituto della cooperazione colposa a connettere il fatto colposo a quello doloso.

La Corte, prosegue, in termini critici, che “una volta identificato l’elemento psicologico della cooperazione colposa con la rappresentazione dell’altrui comportamento, l’istituto del concorso colposo nel delitto doloso rischierebbe di caratterizzarsi per la compresenza di due requisiti logicamente incompatibili, ossia la colpa derivante dalla violazione di una regola cautelare costruita sulla prevedibilità di un fatto doloso di terzi e al contestuale rappresentazione della condotta del terzo con la erronea convinzione, al contempo, che quest’ultimo versi in dolo. Dovrebbe essere accertata, sul piano oggettivo, la realizzazione, ad opera di un terzo di un delitto doloso che costituisca la concretizzazione del rischio che la regola cautelare violata dall'agente mediato mira a prevenire e, contestualmente, sul piano soggettivo, la consapevolezza, da parte dell’agente che versa in colpa, di cooperare con il terzo, autore della condotta dolosa”. In termini fattuali realistici tale ipotesi non potrebbe trovare concreta traduzione, in quanto la rappresentazione dell’agente mediato dell’altrui contegno doloso comporterebbe inevitabilmente anche nel suo caso un concorso doloso nel delitto doloso.

Ne deriva dunque che nel caso di specie, al più, può concretizzarsi la configurazione di due fattispecie monosoggettive, l’una dolosa l’altra colposa, dato l’estrinsecarsi di condotte causali indipendenti disciplinate ai sensi dell’art. 41 c.p.-

La corte dunque abbandonando il tema del concorso colposo nel delitto doloso viene a qualificare correttamente la condotta contestata entro l’alveo di applicazione degli artt. 41 e 589 c.p., così come originariamente contestato nel capo di imputazione.

Pertanto, la IV Sezione ritiene di dover concordare con i profili di illegittimità della sentenza di secondo grado per come posti dalla difesa, tuttavia non ritiene né di poter procedere all'annullamento ex sé della decisione non vertendosi in un mero errore di diritto della motivazione emendabile in sede di legittimità a norma dell’art. 619 c.p., né ritiene di dover rimettere la questione alle SS.UU. in quanto ancora non ritiene che vi sia un “orientamento consolidato al punto da suggerire la necessità di un intervento risolutore delle SS.UU.”.

In sintesi, la Suprema Corte nella sentenza in questione annulla la sentenza impugnata con rinvio della decisione ad altra Corte d’Appello (la Corte d’Appello di Firenze), rilevando come in punto di motivazione la sentenza fosse scarna e non si fossero correttamente motivati i profili della condotta tenuta dal medico curante nell'intera valutazione del nesso di causalità che ha portato ai due eventi omicidiari e al suicidio dell’agente.

Nell'ultima parte della sentenza pertanto la Corte si sofferma sulla analisi dei principi in tema di concorso di cause indipendenti a norma dell’art. 41 c.p. e infine pone l’attenzione sulla carenza di motivazione sulla prevedibilità concreta dell’evento omicidiario.

Nella valutazione di tale ultimo profilo, la IV Sezione ritiene di dover seguire l’orientamento consolidato secondo cui il “principio di colpevolezza impone la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione - da parte del garante - di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l'evento dannoso (ex multis, Sez. IV n. 32216 del 20/06/2018. A tal riguardo questa Corte non condivide il principio secondo il quale ai fini del giudizio di prevedibilità richiesto per la configurazione della colpa, deve aversi riguardo alla potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danno e non anche alla specifica rappresentazione "ex ante" dell'evento dannoso, quale si è concretamente verificato in tutta la sua gravità ed estensione (tra le altre Sez. IV n. 35309 del 25/06/2013, risultando imposto dal principio di colpevolezza quanto meno la prevedibilità della tipologia di lesione che concreta il reato di cui trattasi. E' quanto statuito dalle SS.UU. con insegnamento che deve essere ribadito: la necessaria prevedibilità dell'evento - anche sotto il profilo causale - non può riguardare la configurazione dello specifico fatto in tutte le sue più minute articolazioni, ma deve mantenere un certo grado di categorialità, nel senso che deve riferirsi alla classe di eventi in cui si colloca quello oggetto del processo (SS.UU. n. 38343 del 24/04/2014). Nel caso di omicidio colposo, quindi, non è sufficiente una generica prevedibilità di lesione della integrità fisica ma occorre la prevedibilità della lesione del bene vita. Merita di essere precisato altresì che la valutazione in ordine alla prevedibilità dell'evento va compiuta avendo riguardo anche alla concreta capacità dell'agente di uniformarsi alla regola cautelare in ragione delle sue specifiche qualità personali, in relazione alle quali va individuata la specifica classe di agente modello di riferimento (Sez. IV n. 49707 del 04/11/2014).”

Ebbene, sul punto la motivazione della Corte d’Appello, pur rinvenendo in capo al medico profili di colpa, avendo violato la regola cautelare che prescrive di non emettere la certificazione in favore di chi sia riconoscibile quale soggetto portatore di patologie psichiche, ma non ha adempiuto l’onere motivazionale richiesto dal principio di colpevolezza dell’al di là di ogni ragionevole dubbio nella prevedibilità che tale condotta colposa potesse fosse causalmente correlata agli eventi omicidiari e non alla mera prevedibilità dell’ottenere il certificato al solo fine di armarsi.

All'uopo la Corte richiama i principi di diritto in ordine al percorso logico che la Corte d’Appello deve, in caso di accoglimento dei Ricorsi della Pubblica Accusa, in riforma di un giudizio assolutorio, a “delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e a confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato Cass. SS.UU. 33748 del 12/07/2005 e di mettere in luce le carenze e le aporie di quella decisione sulla base di uno sviluppo argomentativo che si confronti con le ragioni addotte a sostegno del provvedimento impugnato Cfr. Sez. II n. 50643 del 18/11/2014, dando alla decisione una nuova e completa struttura motivazionale che dia compiutamente ragione delle difformi conclusioni (Sez. VI n. 1253 del 28/11/2013; n. 46742 dell'08/10/2013; Sez. 4 n. 35922 dell'11/07/2012).

La Corte D’Appello peraltro non aveva correttamente valutato e confutato, in motivazione le doglianza e la tesi difensiva sostenuta dal ricorrente con una consulenza tecnica. Anche in questo caso la IV Sezione ritiene che l’onere motivazionale non fosse stato adempiuto dalla Corte perugina, in quanto il giudice avrebbe dovuto confutarla specificamente dimostrandone, in modo rigoroso, l’inattendibilità attraverso un adeguato apparato argomentativo.

In questi termini, dunque, la Corte ha annullato con rinvio per nuovo giudizio dinanzi alla Corte d’Appello di Firenze.

Tornando alla questione di partenza, in definitiva dunque, la IV Sezione ha ritenuto di doversi discostarsi da quell’orientamento che riteneva ammissibile il concorso colposo nel delitto doloso – rectius di analizzare la questione sul piano delle concause ex art. 41 c.p.- Tuttavia, nell’esposizione dei pro e dei contro circa la astratta ammissibilità del concorso colposo nel delitto doloso quello che appare doveroso rimarcare è il passo motivazionale nel quale si afferma che “In primo luogo occorre considerare che in assenza di una esplicita previsione legale il rinvenimento di una disciplina 'implicita' deve risultare incontrovertibile allorquando - come nel caso che occupa - la tesi non opera una contrazione dell'area del penalmente rilevante, bensì una sua espansione. Il concorso colposo nel delitto doloso, infatti, nelle intenzioni dei suoi sostenitori avrebbe proprio la funzione di rendere tipiche condotte altrimenti atipiche. Non appare pletorico rammentare il vincolo che viene all'interprete dal principio di legalità, per esso astretto al dovere di non operare 'accessioni' in malam partem; ferma restando la indiscutibile necessità di trarre dalla legge ogni possibile plausibile significato attraverso i noti criteri interpretativi. Ciò implica, ad avviso di questa Corte, che più dell'argomento logico (se è disciplinato l'uno allora è disciplinato anche l'altro) vale il limite della previsione legale, perché è da dimostrare che il legislatore abbia inteso ricorrere ad una penalizzazione estesa piuttosto che contratta. Pertanto non sembra convincente un'impostazione che miri ad evidenziare che 'nulla osta' alla configurabilità del concorso colposo nel delitto doloso; piuttosto è necessario dimostrare che vi è una previsione legale che contempla tale istituto”.

La Corte, pertanto, pare aver ritenuto quindi di seguire in primo luogo il principio di legalità: concorda dunque che la previsione dell’art. 42 c. 2 c.p. possa essere ostativa all’ampliamento della sfera del penalmente rilevante delle condotte colpose, così come ilo stesso 113 c.p. nel suo tenore letterale si riferisce alla sola partecipazione colposa nel delitto colposo e, infine, l’argomento secondo cui il legislatore ha previsto espressamente ipotesi nominate di agevolazione colposa di un altrui fatto doloso, come nel caso di cui agli artt. 254, 259 e 350 c.p.-

E’ evidente che tali argomenti non depongono nel senso della ammissibilità del concorso colposo nel delitto doloso.

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