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La bolletta non prova l'esistenza del credito della società erogatrice di un servizio (Cass. Civ

La fattura si può utilizzare per ottenere un decreto ingiuntivo, ma in caso di opposizione il creditore dovrà integrare con nuove prove la documentazione offerta nella fase monitoria

La bolletta o fattura, dice la Cassazione, non è idonea a dimostrare l'effettiva esistenza del credito azionato dalla società che ha erogato il servizio idrico.

Nonostante chi ha emesso la fattura possa, in base a tale documento, ottenere l'emissione di un decreto ingiuntivo, ove nel successivo giudizio di opposizione sia contestato il rapporto principale essa non può costituirne valida prova, dovendo il creditore fornire nuove prove per integrare con efficacia retroattiva la documentazione offerta nella fase monitoria.

La III sezione, con l'ordinanza in commento, si è pronunciata sul ricorso di una società di gestione dell'acquedotto. In sede di gravame, il giudice aveva accolto l'opposizione del Comune contro il decreto ingiuntivo per il pagamento alla società di oltre 150mila € di corrispettivo per il servizio di fornitura di acqua potabile.

Per la Corte territoriale aveva ragione il Comune nel sostenere che fossero insufficienti a dimostrare il credito azionato le tredici fatture versate in atti, in quanto documenti di provenienza unilaterale da parte della stessa società e in presenza di oggettiva contestazione in ordine all'effettiva erogazione del servizio, sia nell'an che nel quantum

Gli Ermellini ritengono che il provvedimento sia debitamente motivato e si sottragga a ogni censura in quanto si è attenuta al principio, enunciato ripetutamene dalla stessa Cassazione secondo cui la "fattura è titolo idoneo per l'emissione di un decreto ingiuntivo in favore di chi l'ha emessa, ma nell'eventuale giudizio di opposizione la stessa non costituisce prova dell'esistenza del credito, che dovrà essere dimostrato con gli ordinari mezzi di prova dall'opposto" (cfr. Cass. sent. n. 5915/2011).

Non giova alla società ricorrente neppure il riferimento al principio secondo cui, in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte.

Nel caso di specie, infatti, ciò che manca è proprio la prova dell'entità del credito pecuniario azionato in quanto nel giudizio ex art. 645 c.p.c. non possono valere le fatture poste alla base del provvedimento monitorio. Tale evenienza, secondo la Cassazione, ha dunque comportato il rigetto della pretesa azionata, confermato in sede di legittimità.

Non è la prima volta che la giurisprudenza afferma che le fatture non possano costituire fonte di prova in favore della parte che le ha emesse. Anzi, le conclusioni sul punto risultano sostanzialmente unanimi.

Secondo il Tribunale di Latina (sent. 763/2018), avuto riguardo alla sua formazione unilaterale e alla funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all'esecuzione di un contratto, la fattura si inquadra fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione indirizzata all'altra parte di fatti concernenti un rapporto già costituito.

Sicché, secondo la Cassazione quando tale rapporto sia contestato, la fattura non potrà costituire valido elemento di prova delle prestazioni eseguite ma, al più, un mero indizio (cfr. Cass. n. 9542/2018).

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