Il padre assente paga il danno esistenziale ai figli solo in presenza di adeguata prova (Cass. Civ.
Il padre completamente assente, sul fronte morale ed economico, non è sempre tenuto a risarcire ai figli il danno esistenziale.
Per la Cassazione il ristoro è, infatti, collegato alla prova del radicale cambiamento di vita, dell'alterazione della personalità e dello sconvolgimento dell'esistenza.
Questo tipo di danno non patrimoniale non può essere considerato "in re ipsa", ma deve essere provato secondo la regola generale dell'art. 2697 c.c.- La prole, dunque, per ottenere ristoro deve dimostrare in maniera circostanziata il radicale cambiamento di vita, l'alterazione della personalità e lo sconvolgimento dell'esistenza.
Tanto emerge dall'ordinanza in. commento con cui la Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso di un figlio che aveva chiesto al padre un risarcimento del danno esistenziale in ragione della mancata presenza della figura paterna nella propria vita dopo una burrascosa separazione dalla madre.
Richiesta rigettata dalla Corte d'Appello con una decisione che viene confermata anche dalla Corte di Cassazione. Secondo la difesa del ragazzo, invece, il pregiudizio subito dal figlio deve ritenersi in re ipsa in conseguenza della condotta del padre rispetto ai doveri genitoriali, sia morali che materiali, per averlo privato, per lunghi anni, dell'apporto affettivo ed economico.
La Suprema Corte rammenta che la violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole non trova sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, potendo integrare gli estremi dell'illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, e può dar luogo a un'azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 c.c.-
Tuttavia, osservano gli Ermellini, tale norma non disciplina un'autonoma fattispecie di illecito, distinta da quella di cui all'art. 2043 c.c., ma si limita a disciplinare i limiti e le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali, sul presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito richiesti dall'art. 2043c.c.-
L'unica differenza tra il danno non patrimoniale e quello patrimoniale consiste pertanto nel fatto che quest'ultimo è risarcibile in tutti i casi in cui ricorrano gli elementi di un fatto illecito, mentre il primo lo è nei soli casi previsti dalla legge.
Ne discende che il danno non patrimoniale, con particolare riferimento a quello c.d. esistenziale, non può essere considerato "in re ipsa", ma deve essere provato secondo la regola generale dell'art. 2697 c.c., dovendo consistere nel radicale cambiamento di vita, nell'alterazione della personalità e nello sconvolgimento dell'esistenza del soggetto.
Ne consegue che la relativa allegazione deve essere circostanziata e riferirsi a fatti specifici e precisi, non potendo risolversi in mere enunciazioni di carattere generico, astratto, eventuale ed ipotetico (cfr. Cass. n. 2056/2018).
Nel caso di specie, la Corte di Appello ha correttamente evidenziato la mancanza di una prova concreta circa l'esistenza effettiva di tale pregiudizio, non essendo stato dimostrato che la condotta paterna avesse prodotto danni psico/fisici nel ragazzo.
Insufficiente sul punto la sindrome di ansietà diagnosticata che è stata ritenuta dallo stesso psicologo attribuita in parte all'assenza del padre e in parte ai connotati caratteriali del ragazzo, oltre che alla elevata conflittualità della separazione dei genitori.