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La pensione di reversibilità non si detrae dal risarcimento per morte del congiunto (Cass. Civ. sez.

Dal risarcimento del danno patrimoniale riconosciuto al familiare di una persona deceduta per colpa altrui non è possibile detrarsi il valore capitale della pensione di reversibilità: non opera la "compensatio lucri cum damno" in quanto la reversibilità accordata dall'INPS è una forma di tutela previdenziale che trova origine nel sacrificio compiuto dal de cuius quando era in vita.

Tale forma di tutela non ha dunque lo scopo di rimuovere le conseguenze prodottesi nel patrimonio del danneggiato per effetto dell'illecito commesso da terzi. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, terza sezione civile, nell'ordinanza n. 22530/2019 accogliendo il ricorso degli eredi di un uomo deceduto d'infarto mentre era al lavoro.

Oltre all'azienda di cui era dipendente, sono chiamati in causa anche la società che gestisce l'ambulatorio in azienda e il medico, alle dipendenze della stessa e in servizio quel giorno: in particolare, si ritiene che quest'utimo avesse tardato il compimento di talune manovre e di specifici adempimenti la cui esatta esecuzione avrebbe verosimilmente conservato le chances di sopravvivenza della vittima.

La Corte d'Appello riconosce ai congiunti il solo risarcimento dei danni non patrimoniali, ritenendo che gli eventuali pregiudizi di natura patrimoniale siano integralmente assorbiti dall'avvenuta liquidazione, in loro favore di una pensione di reversibilità connessa all'avvenuto decesso del de cuius.

La Cassazione, nel ritenere non possa operarsi una c.d. compensatío lucri cum damno, richiama a fondamento il dictum delle SS.UU. (cfr. sent. n. 12564/2018) nel quale la corte ha sottolineato come la pensione di reversibilità, appartenente al più ampio genus delle pensioni ai superstiti, sia qualificabile alla stregua di una forma di tutela previdenziale nella quale l'evento protetto è la morte, vale a dire un fatto naturale che, secondo una presunzione legislativa, crea una situazione di bisogno per i familiari del defunto, i quali sono i soggetti protetti.

Inoltre, nella pensione di reversibilità, la finalità previdenziale "si raccorda a un peculiare fondamento solidaristico" in quanto, per effetto della morte del lavoratore, "la situazione pregressa della vivenza a carico subisce interruzione", ma il trattamento di reversibilità "realizza la garanzia della continuità del sostentamento ai superstiti".

Pertanto, l'erogazione della pensione di reversibilità non ha la finalità di rimuovere le conseguenze prodottesi nel patrimonio del danneggiato per effetto dell'illecito del terzo, atteso che la stessa non soggiace a una logica e a una finalità di tipo indennitario, ma costituisce piuttosto "l'adempimento di una promessa rivolta dall'ordinamento al lavoratore-assicurato che, attraverso il sacrificio di una parte del proprio reddito lavorativo, ha contribuito ad alimentare la propria posizione previdenziale".

Non è dunque possibile computare la pensione di reversibilità in differenza alle conseguenze negative che derivano dall'illecito, non essendo quel trattamento previdenziale erogato in funzione di risarcimento del pregiudizio subito dal danneggiato, bensì rispondente a un diverso disegno attributivo causale.

La causa più autentica di tale beneficio, infatti, va individuata nel rapporto di lavoro pregresso, nei contributi versati e nella previsione di legge: tutti fattori che si configurano come serie causale indipendente e assorbente rispetto alla circostanza (occasionale e giuridicamente irrilevante) che determina la morte.

Richiamando gli insegnamenti della dottrina sul punto, la Corte evidenzia come l'incremento patrimoniale corrispondente all'acquisto del diritto alla reversibilità si ricollega ad un sacrificio economico del lavoratore, e quindi non costituisce un vero e proprio lucro idoneo a compensare il danno e ridurre la responsabilità.

Proprio al fine di guardare alla funzione concreta e alla giustificazione più profonda del beneficio collaterale rappresentato dalla pensione di reversibilità, si legge in sentenza, la dottrina esclude che il welfare previdenziale istituito e alimentato dai contributi del lavoratore, come tale espressione di una scelta di sistema pienamente conforme al respiro costituzionale della sicurezza sociale, sia suscettibile di essere considerato un beneficio da assoggettare all'impiego contabilmente causale della compensatio lucri cum damno.

Gli Ermellini ribadiscono dunque il principio in forza del quale, dal risarcimento del danno patrimoniale patito dal familiare di persona deceduta per colpa altrui non deve essere detratto il valore capitale della pensione di reversibilità accordata dall'INPS al familiare superstite in conseguenza della morte del congiunto, trattandosi di una forma di tutela previdenziale connessa ad un peculiare fondamento solidaristico e non geneticamente connotata dalla finalità di rimuovere le conseguenze prodottesi nel patrimonio del danneggiato per effetto dell'illecito del terzo. La sentenza viene dunque cassata con rinvio.

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